Negli ultimi tempi ho pensato di cambiare lavoro, o di cercarmene uno vero quanto meno. Non è che il mio attuale impiego non mi piaccia, ma dopo un anno e mezzo lavorare in un call center non da più gli stessi stimoli, né offre le stesse opportunità. L’idea era di imparare meglio la lingua, entrando in contatto con le persone, con i madrelingua; la pronuncia inglese per un po’ li ha divertiti, simpatizzavano anche per me quando spiegavo che stavo imparando l’italiano da autodidatta, ma poi sono iniziate le risposte infastidite, le correzioni e i rimproveri per non essere capace di farmi capire correttamente. Insomma, ho accantonato l’idea di essere un autodidatta e mi sono iscritto a un corso, organizzato soprattutto per immigrati nordafricani. È stato anche quello un fallimento. Però è a quel corso che ho incontrato Francesca, la mia attuale ex ragazza. Ex ragazza perché due settimane fa mi ha detto che non mi amava più e che stava con un tizio di Tor Vergata conosciuto su internet, tal Micio.Muscoli83. Ho provato a chiederle perché, a cercare di sistemare la situazione, ma si è dimostrata un muro difficile da abbattere. È stata la giornata più estenuante della mia vita e alla fine me ne sono andato da sconfitto, prendendo le mie poche cose e uscendo per l’ultima volta dal suo appartamento. Mi è dispiaciuto, ci frequentavamo da quattro mesi, e avrei voluto fare di più. Per giustificare l’ingiustificabile mi son detto che oggi le relazioni funzionano così e così finiscono. È tutto più veloce, incerto e ci si stanca dell’altro nella metà del tempo che è servito per conoscerlo; e poi c’è la fregatura di internet, che sarà anche utile per la globalizzazione ma ultimamente ha incentivato i tradimenti, virtuali e no. Francesca non ha fatto eccezione e per quanto mi abbia fatto male saperlo così, un po’ me lo aspettavo. Tra di noi non funzionava, non ci sono mai state rose e fiori. Potendolo riassumere, il mio rapporto con Francesca è stato un po’ come il mio primo approccio con l’italiano: ho imparato alla perfezione le parolacce, poi ho cominciato a parlare. I miei primi discorsi erano inascoltabili, sia per il vocabolario sia per la pronuncia, però con il tempo sono migliorato – o ho migliorato? È un dubbio che ancora mi tormenta.
Grazie al cielo ci sono i miei colleghi che mi tengono occupato, che mi insegnano delle parole nuove. Chi mi aiuta di più è Arianna, la mia dirimpettaia di scrivania. È una ragazza di ventitré anni, fresca di studi e in cerca di soldi per pagarsi il master di restauro. È il mio amore non corrisposto, non perché mi abbia dato due di picche (questo me l’ha insegnato Paolo, il ragazzo seduto alla mia sinistra) ma perché io non voglio farle sapere che mi piace. Un po’ stupido da parte mia ma Arianna non ha bisogno di un perdigiorno come me, un indeciso cronico che ha abbandonato gli studi e che è partito da casa senza un soldo. Lei, poi, è fidanzata con un altro e non avrei speranze. Dicevo… Arianna è quella che tiene di più alla mia istruzione. Ogni due settimane mi presta un libro e mi ha anche regalato un manuale di grammatica italiana per il mio compleanno. Ho fatto qualche progresso, però continuo a studiare per dimostrarle che apprezzo il suo interesse. Se notasse il mio di interesse sarebbe perfetto, ma mi accontento. Oggi in pausa pranzo – quei dieci minuti in cui possiamo mangiare, bere un caffè e fumare una sigaretta al volo – io e i miei colleghi abbiamo fatto un gioco, il cui scopo era descriversi usando una sola parola. Credo lo facciano per aiutarmi a memorizzare nuovi vocaboli. C’è chi si è definito intrepido, chi allegro, calmo, timido, lunatico, frizzante, taciturna, energico, entusiasta, felice, isterico, addirittura meteoropatico (sono poi andato a cercarlo sul dizionario per scoprire che voleva dire ancora lunatico) o semplice, come ha fatto Arianna. È lo stesso aggettivo che avrei usato io per descriverla. Lei è semplice, semplice e bella. Poi è stato il mio turno e non ho trovato altro modo di descrivermi se non precario. I miei colleghi hanno riso, convinti che non sapessi cosa volesse dire, ma io mi ci ritrovo. Io sono precario sotto molti punti di vista. Sono precario per quel che riguarda il lavoro, perché non so se domani potrò sedermi di nuovo dietro al mio tavolino e infastidire le persone con offerte che non vogliono ascoltare o se verrò rimpiazzato da un mio omonimo in India. Sono precario abitativamente parlando, perché la ragazza che mi subaffitta una stanza nell’appartamento dov’è lei in affitto mi ha sfrattato dalla camera al divano in quanto suo fratello aveva bisogno di un posto dove stare (facendomi comunque pagare il prezzo della camera). Sono precario con la lingua, perché a volte fatico ancora a comprendere ciò che mi viene detto e a esprimermi correttamente, finendo per ottenere il contrario di ciò che volevo. Sono precario per quanto riguarda i rapporti con le persone, perché non riesco ad avere una relazione stabile nemmeno con i membri della mia famiglia, figuriamoci con un’ipotetica fidanzata. Sono precario nel mio essere precario, perché non voglio che la mia diventi precarietà a tempo indeterminato. Infine, sono precario rispetto alla vita stessa e non ho idea di quel che potrà accadermi nei miei prossimi dieci minuti di esistenza; potrei non essere più qui, essere diventato l’uomo più ricco del pianeta o restare semplicemente Marcus, il ragazzo anglo-indiano venuto in Italia per imparare la lingua e finito col lavorare nel call center di un’azienda tedesca con sede amministrativa a Panama. Sono Marcus il precario, ecco chi sono, una persona che si adatta come meglio può alle trasformazioni del mondo ma che non ha speranza di capire cosa accade.
Per Mario, l’omaccione seduto alla destra di Arianna, “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, o è quello che ha risposto al mio sentirmi precario. È il fisico del gruppo ma è anche un mezzo filosofo, lui, perché la sa lunga su tutto quello che riguarda la vita e sforna consigli a destra e a manca come fossero sfilatini. Quando parla, seguo i suoi discorsi a metà e di ciò che ascolto capisco poco o niente, però mi piace starlo a sentire perché è uno che ha esperienza. L’avere esperienza è un requisito essenziale al giorno d’oggi, specialmente se cerchi lavoro. Ma è anche qualcosa che può fregarti: avere troppa esperienza non ti aiuta a essere assunto, fa l’esatto contrario. È stato il suo ultimo volo pindarico ad aprirmi gli occhi sul motivo che mi spinge a sentirmi precario in tutto. Mentre diceva che non poteva più pagare l’abbonamento per andare allo stadio, si è perso in una rievocazione di quanto fossero belli i tempi dei suoi genitori, quando si era sicuri che non si sarebbe mai stati licenziati e quando non si sapeva nemmeno cosa fosse la cassa integrazione. Non credo ci fosse un collegamento logico tra le due parti del discorso, ma per me hanno senso. Fatico a restare in equilibrio perché è il mondo a non averne. Tutto cambia in fretta e il mio cervello troppo lento non riesce a stare al passo con queste trasformazioni; posso provare quanto voglio ma non sarò mai abbastanza aggiornato da sapermi adattare agli standard che vengono pretesi oggi. Sono come un vecchio modello di auto, così vecchio che è impossibile trovare i pezzi di ricambio. Io sono precario perché lo è il mondo in cui vivo e non è del tutto colpa mia se non riesco a trovare un appiglio cui aggrapparmi per provare a rimanere stabile. La famiglia, avere una relazione, un lavoro e un’istruzione erano i miei punti fissi, qualcosa che credevo non sparisse mai, ma poi sono partito e tutto ha iniziato a muoversi; ho cercato, cerco, di stare a galla, di nuotare nella giusta direzione e di trovare la mia strada. Provo a rinnovarmi come dovrei fare per potermi adattare, eppure non riesco a uscire da tutto questo. Forse dovrei smettere. In fondo, lavorare in un call center non è così male.
Questo è il racconto di cui vi ho parlato qualche tempo fa, quando vi dicevo del mio essere scaramantica a causa di un concorso letterario. Lo pubblico perché ieri sono stati annunciati i 10 finalisti e il mio racconto non era tra quelli, quindi niente vincoli di copyright legati a pubblicazioni varie…
Avrei voluto già postarlo ieri sera, ma era tardi e a quanto pare ultimamente faccio fatica ad assimilare in tempi brevi ciò che mi succede; sento il bisogno di rifletterci sopra. Ben inteso, non sono delusa o dispiaciuta di non essere arrivata nella top 10, ma è il contesto della serata che mi ha lasciata un po’ dubbiosa e forse anche negativamente sorpresa. Ho avuto l’impressione, e da qui il bisogno di pensarci su, che il concorso e la premiazione non fossero altro che un’appendice, un surplus non importante e che come tale sia stato trattato… È di questo che mi è dispiaciuto di più, perché in confronto al tema generale della serata, il concorso è apparso come un pesce fuor d’acqua al quale non è stata data molta attenzione. Il classico specchietto per le allodole, cui io ho abboccato in pieno. Non credevo di essere un’allodola…
Comunque sia, questo è il mio racconto sul tema “Cambiamenti e trasformazioni nel lavoro, nella scuola e nei rapporti personali“! Spero vi sia piaciuto come gli altri (sempre che vi siano piaciuti 😉 ) e se avete qualcosa da dire, sentitevi come sempre liberi di commentare!
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