Lasciami andare, dicevi, lasciami andare. Lasciami cadere e non cercare di tenermi su, perché ti trascinerei sul fondo con me. Sono un meteorite in rotta di collisione verso quel piccolo pianeta che sei, mi avvertivi, e dopo la collisione di te non resterà altro che un ammasso di roccia fumante e senza vita. Sei una casa solida, dalle mura possenti, di quelle che hanno vissuto centinaia di anni ma sono ancora in piedi, e io sono la palla da demolizione chiamata per abbatterti; tu mi supplicavi, non lasciare che sia io a ridurti in polvere, e io ci scherzavo sopra, nemmeno Miley Cyrus e la sua wrecking ball potrebbero riuscirci; sono più resistente di quanto sembri, ti dicevo, resterò in piedi nonostante i colpi. Sono una sabbia mobile ambulante, minacciavi, più ti sforzi, più io tirerò giù; riempirò di sabbia i tuoi occhi, la tua gola e sigillerò per sempre le tue amabili labbra; tarperò le ali ai tuoi progetti, urlavi, e nasconderò i tuoi squisiti pensieri sotto uno strato di immobile dolore. Non permettere che ti trasformi, non permettermi di intaccare la tua dolce natura; sono un serpente velenoso e instillerò in te quest’orribile fiume che mi scorre sotto la pelle se non mi terrai a distanza. Cacciami via, imploravi, voglio sapere che ti sei salvata dalla mia corruzione. Io corrompo, dicevi, corrompo e corrodo ciò che c’è di buono negli altri, li trascino con me in una caverna e mi cibo della loro bontà; ti accanivi, non entrare. C’è in me un’oscurità che non conosco, ne ho il terrore e non voglio che tu ne sia distrutta. Io distruggo tutto.
Lasciati trattenere, ti chiedevo, lasciami toccare il fondo per imparare come risalire. Voglio scoprire cosa accade dopo una collisione violenta tra due corpi nello spazio, forse la vita sopravvive. Una vecchia casa va rimodernata, ti suggerivo, abbattine un’ala e la ricostruiremo insieme. Anche le sabbie mobili finiscono da qualche parte, opponevo alle tue minacce, sul fondo deve esserci qualcosa; lascerò che la sabbia mi riempia gli occhi, la gola e che sigilli per sempre le mie inutili labbra; non ho bisogno di fare progetti, né di pensare, per sopportare una frenetica sofferenza, mi basta accoglierne i granelli e lasciare che si depositino. Voglio cambiare, non posso restare la persona amara che hai conosciuto; lasciami bere dallo stesso fiume che adesso scorre in te. Ti inseguirò, dicevo, perché non ho bisogno di essere salvata; sono già corrotta. Tu aneli ciò che gli altri hanno di buono, cerchi di avvicinarli e irradiarti con la luce scaturita dalla loro bontà; lasciami entrare, conosco quell’antro. C’è in te una luce che non conosci, devi esserne entusiasta. Tu puoi costruire ogni cosa.
Queste le nostre lotte, questi i nostri discorsi; volevi allontanarti, lasciarmi indietro, abbandonarmi senza avermi permesso di raggiungere la parte oscura che si nascondeva dentro di te. È malsano, mi hai detto un giorno e io ho capito che non mi avresti lasciata replicare, tutto quello che sono, è marcio e farà marcire anche te; un verme scava lunghe tane nella mia mente, la rende un colabrodo e io scivolo attraverso quei buchi, giù, sempre più giù, fino a un buco nero che mi distrugge. Ma sono lucido, forse ancora per poco, lucido quel che basta per capire che tu, mia dolce Astrea, mia amabile Psiche, puoi essere salvata, tu puoi dimenticare il male che emano e rifugiarti tra le stelle del tuo Regno. Io non sono Amore, non porto Vita, ma la sorella sgradita, e tu non hai ancora visto il mostro che si corica accanto a te la notte. Non commettere un errore fatale.
Ti ho ascoltato, rapita dalla dolcezza delle tue parole, dalla tenerezza che emanavano ma che volevi nascondere sotto una maschera d’orrore; hai cercato di convincermi che fossi giusta, che fossi buona, e non ti accorgevi di quanto buono fosse il tuo animo, tu che lo descrivevi corrotto e incapace di generare bellezza. Avevo capito che non avresti ascoltato le mie parole, mi hai chiamata cieca e te ne stavi andando ancor prima che io avessi compreso che era finita. Le mie parole, la mia voce e i miei pensieri non ti hanno mai raggiunto, tu che sostenevi di sapere cosa andasse fatto pur nei tuoi deliri. Non sopportavo di vederti svanire in te stesso, non senza aver provato almeno una volta a mostrarti la luce che non eri in grado di trovare in quel pozzo oscuro che dicevi essere la tua anima. Non un giorno hai ascoltato ciò che avevo da dirti e allora quella volta, quando tutto stava davvero andando in pezzi ed io crollavo, ho deciso di diventare ciò che temevi più di ogni altra cosa; ti ho inseguito, fermato e ti ho costretto a guardarmi. Nessuna parola è uscita dalle mie inutili labbra. Un abbraccio; ti ho stretto a me e ho affondato il viso nell’incavo del tuo collo. Eri teso, insicuro, di certo volevi scappare; non l’ho permesso e poco a poco le tue braccia si sono mosse per ricambiare il mio gesto. Siamo diventati l’uno per l’altra ciò di cui avevi timore; siamo diventati necessari.
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