Buonasera 😊
Stasera vi lascio il racconto che partecipa a Il Club di Aven, un gioco di scrittura che questa settimana aveva due temi tra cui scegliere: “Tema” e “Anima”. Io ho scelto il primo e spero vi piaccia!
«Che vuol dire che è “a tema”? Ce l’avrà un tema, no?» «Non lo so! Senti, io ti ripeto solo quello che mi ha detto lei. Farà una festa a tema, venerdì, e ci ha invitate» Guardo Clarissa come a chiederle se sembri solo a me che quello che ha appena detto suoni come una stronzata senza senso. Chi organizza una festa a tema senza specificare quale sia il tema?! Beh, considerato che l’invito arriva da Giada, non è poi così impossibile… «Ma almeno hai provato a chiederle che tema avesse in mente?» La mia amica svia lo sguardo, provando a vedere come le sta un vestito argentato coperto di paillettes. Siamo inseparabili dall’asilo e conosco tutte le sue tecniche per glissare quando sa di aver fatto qualcosa di sbagliato. Quella dei vestiti è la sua preferita. «Clari?» insisto, mettendomi tra lei e lo specchio del negozio. Quando sbuffa, le tolgo il vestitino e incrocio le braccia al petto. «No! Non le ho chiesto nulla! Contenta?» mette il broncio e scatta sulla difensiva. «Mi ha placcata dopo l’appello di lunedì e tu sai come sono quando passo un esame» Trattengo un sorriso, perché so davvero in che stato finisce appena firma il voto d’esame. E lunedì aveva lingua tedesca, che l’ha perseguitata per mesi. «E quindi?» «Quindi le ho detto che ci saremmo state e mi sono dileguata prima che iniziasse a parlare di nuovo. Sai che Giada è logorroica» «Sì che lo so. Ma potevi sopportarla almeno un po’, no? Così adesso sapremmo il tema della festa a tema» Sbuffa di nuovo, facendo tremolare la sua frangia castana e alzando gli occhi al cielo. Occhi che, poi, mi guardano come quelli del gatto con gli stivali di Shrek quando vuole fregarti. «Tanto la chiami tu, vero?» «Non ci penso nemmeno» sbraito, portandomi via il vestito nel camerino più vicino. «E poi io nemmeno posso venire. Lavoro venerdì» «Cosa?!» Clarissa spalanca la tenda e mi segue dentro. Ha tra le mani un nuovo top rosso ciliegia e un paio di jeans e non ho idea di quando li abbia presi. «Tu devi venire, Chiara. Sei obbligata! Non ci sarà anima viva a quella festa e se manchi anche tu tanto vale che io resti a casa» «Povera» le scompiglio i capelli per prenderla in giro. «Ma so che ha invitato mezzo dipartimento di economia e alcuni ragazzi di biotecnologie. Non mi sembra così deserta» «Ma è questo il punto! Parleranno solo di cose assurde per tutta la sera, facendo battute su economi o robe di chimica che non capirò mai! Chi me le spiega se non ci sarai tu?» «Dovresti portare mio fratello. Fede sarebbe ben felice di colmare le tue lacune» Clari mi dà una sberla sul braccio. «Adoro tuo fratello ma no, grazie. Ha ancora una cotta assurda per me e non voglio dargli false speranze» «Guarda che lui lo sa. Solo che ha troppa fiducia in se stesso per lasciarti perdere. È convinto che prima o poi cederai al suo fascino» «Ecco perché devi venire tu e non Federico. Sai che ho la sbronza allegra» «E senza freni» l’ultima volta è finita con il baciare un tizio del nostro corso di linguistica che nemmeno conosceva, così, perché le ispirava che fosse bravo a baciare. Sbagliava, ovviamente. «Quel tipo con gli occhiali ancora propone gruppi di studio e serate alcoliche su Whatsapp» «Non. Ricordarmelo» scandisce, infilandosi i jeans e il top. Inutile dire che le stanno da dio.. «Che te ne pare? Per venerdì andrebbero bene» «Se sapessi come dovresti vestirti, sì, sarebbero perfetti» «Come dovremmo vestirci. Noi. Tu ed io, perché venerdì verrai con me a casa Monti. Chiaro, Chiara?» Detesto quando dice “Chiaro, Chiara” e lo sa. Infatti quella strega mi ammicca nello specchio del camerino, e sorride, come se avesse appena chiuso la questione. Non se ne parla proprio. «Clari io lavoro dopo domani. Ricordi?» mi indico, nel cambio tra la mia comoda maglia oversize e il vestito argentato. «Baby-sitter a una bimba di quattro anni» «Figlia del più gran bel figo che io abbia mai visto» si sventola con la mano, fingendosi accaldata al pensiero del mio datore di lavoro. «Come potrei scordarlo?» «Non avrei dovuto farti vedere la sua foto» Lei ride mentre io mi guardo nello specchio. Indosso un vestito che costa un occhio della testa e che quindi non posso permettermi, ma che è davvero fantastico, corto al punto giusto da non essere volgare e mettere lo stesso in mostra le gambe. «Ucciderei per avere le tue gambe. Vestita così stai benissimo e saresti perfetta per venerdì» «Ah ah. Non attacca» Faccio diversi giri, per controllare da ogni angolatura come mi stia l’abito, e più lo guardo, più faccio fatica a pensare ai cento motivi per cui non posso assolutamente ricorrere al fondo per le emergenze. Questa non è per niente un’emergenza, è solo un bel vestito che andrebbe bene per una festa a tema di cui non ho idea di che tema abbia. «Lo so!» Mi giro verso la mia amica mentre smanetta sul cellulare. «Sai cosa?» «Il tema!» esulta, alzando gli occhi dallo schermo e studiando il mio stile con un sorriso che mi ricorda quello di una maniaca. «È The Roaring Twenties. I ruggenti anni venti» Accidenti. Questo vestito sarebbe perfetto sì. È esattamente nello stile degli anni venti e mi mancherebbe solo un cerchietto coordinato per essere perfettamente a tema. Accidenti! «Devo lavorare» borbotto, sfilandomelo dalla testa e riponendo sulla gruccia. «Niente festa a tema» Clarissa prova a convincermi di quanto sia assolutamente necessario che io partecipi alla festa di Giada. Però, ed è un bene che la mia amica non possa leggermi nella mente, non ha idea che io stia pregustando l’arrivo di una serata a tema di tutt’altro genere. Perché in realtà non vedo l’ora di andare a lavorare venerdì. Non vedo l’ora di bussare a casa di Kevin Solberg e passare una serata a tema coccole e cartoni con una dolcissima bimba americana di quattro anni. Questo sì che è un tema perfetto.
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