Buongiorno 😊
Lo scorso weekend sono riuscita ad andare al cinema e tra tutti i titoli del momento mi sono fiondata su un classico. Guy Ritchie e Re Artù hanno colpito nel segno 😅
Titolo
King Arthur – Il potere della spada
Titolo originale
King Arthur: Legend of the Sward
Regia
Guy Ritchie
Anno
2017
Genere
Azione, fantastico
Lingua
Inglese
Paese di produzione
Stati Uniti d’America, Regno Unito, Australia
Soggetto
David Dobkin, Joby Harold
Sceneggiatura
Joby Harold, Guy Ritchie, Lionel Wigram
Inghilterra, un medioevo lontanissimo e magico dove Uther Pendragon si trova ad affrontare la sete di potere e conquista di Mordred viene subito dopo sconvolto da un tradimento ben peggiore: quello da parte di Vortigen, fratello di Uther e invidioso del suo regno. Unico sopravvissuto della famiglia reale originaria è il giovane principe, che fugge da Camelot su una barca di fortuna.
Come se già Il Ciclo Arturiano non fosse stato sufficientemente stravolto, il film di Guy Ritchie si spinge ben oltre, trasformando il protettore dell’Inghilterra in un profeta profano dell’essenza inglese. Artù, trovato nella stessa barca da delle prostitute intente a lavare i propri vestiti lungo le sponde del Tamigi (ricorda nulla?! Ah, sì! Mosè), cresce in un bordello nei sobborghi di Londinium (che, si capisce chiaramente, è la Londra medievale) e dopo diverse vicissitudini, tanti soldi risparmiati e un addestramento completo come guerriero, riesce a costruirsi un proprio giro d’affari e soprattutto a farsi rispettare come capo di una sorta di gang del quartiere (il magnaccia, in sostanza). Il tutto mentre il nuovo re Vortigen costruisce il proprio regno di sottomissione e paura.
Un giorno, tuttavia, le acque che lambiscono Camelot si ritirano e dal fondo del mare emerge una roccia con una spada incastrata in essa. Excalibur, scomparsa il giorno della morte di Uther, è il segno che il legittimo re sta per tornare.
Perdonatemi, ma qui taglio un po’: per uno sfortunato caso, Artù si trova ad estrarre la misteriosa spada, a scampare a una decapitazione grazie a una Maga e al gruppo di ribelli gestito dagli ex cavalieri di Uther datisi alla macchia e da adesso in avanti a prendere coscienza della propria identità e del ruolo che è chiamato a rivestire, fino alla resa dei conti finale. King Arthur – Il potere della spada è un melting pot di tradizione britannica, orgoglio nazionale, metafore sugli individui che dal nulla e cresciuti nel nulla conquistano il mondo, condito con un dose di testosterone così massiccia da essere quasi soffocante. Non c’è una figura femminile forte a parte quella della Maga che assiste Artù, una presenza più che altro marginale e che serve a mettere in luce ancora di più la figaggine dello stesso protagonista quando viene fatta prigioniera da Vortiger (il quale nemmeno sembra accorgersi di avere un potenziale nemesi sotto il proprio tetto) e deve aspettare di essere liberata come una tipica donzella indifesa. È un film per uomini duri e con uomini duri, implacabili e che di fronte alla minaccia verso le persone che amano sfoderano i muscoli e si riscoprono gli eroi della situazione, benché all’inizio non avessero nessuna intenzione di diventarlo. Non a caso, il cast annovera grandi attori maschili e solo quattro attrici (nemmeno troppo conosciute), in un tripudio di mascolinità che viene preso da tutte le produzioni fatte ultimamente per il piccolo e grande schermo e che soddisfa anche il gusto del pubblico femminile. A livello di trama è quel che è ma si apprezza lo spettacolo, per così dire… E a poco vale il simbolismo decisamente esplicito di alcune scene chiave (come quella in stile “Mosè” che ho citato all’inizio), perché se da un lato spinge per dare profondità a un picchiaduro storico, dall’altro lo fa in tono talmente palese da far apparire scialba e poco credibile l’idea di Artù come profeta dell’animo inglese e dell’uomo che si è fatto da solo. È un bel concetto, soprattutto perché vede nel personaggio di Vortiger non il nemico da sconfiggere ma il motivo che ha dato luogo al cambiamento e alla crescita dell’eroe estremamente moderno e allo stesso tempo leggendario;
Jude Law incarna la causa primigenia della grandezza di Artù e per questo la sua sconfitta è un atto di santificazione, il riconoscimento che la sua crudeltà un elemento positivo perché è servita a creare l’eroe. Interessante davvero, ma un po’ discordante con il concetto classico che è legato alla vita di Re Artù e che comunque poco va d’accordo con l’effetto in slow motion che Guy Ritchie mette in tutte le salse e in ogni suo film. Già in quelli su Sherlock Holmes le scene di lotta vengono mandate al rallentatore, così da poter cogliere ogni dettaglio, e qui non si fa eccezione, in un tentativo di mostrare quale sia il vero potere di Excalibur e come questo sia legato ad Artù. È un bell’effetto, ma non aggiunge nulla di nuovo, esattamente come la tendenza ai toni del grigio delle immagini, un altro marchio di fabbrica delle ultime pellicole di Ritchie. Detto questo, King Arthur è un blockbuster divertente nelle battute e ricco di azione, in cui le musiche ultra moderne rendono il materiale classico più movimentato e lo liberano della sua aura aulica. Non sarà il film del secolo, ma dà esattamente ciò che ci si aspetta da lui: due ore di svago non troppo impegnative.
A quanto pare il film si è rivelato un vero flop al botteghino… Personalmente propendo per il “Mi è piaciuto”, ma capisco anche le ragioni per una sua bocciatura. Voi lo avete visto? O lo andrete a vedere? Raccontate(vi)!
Federica 💋
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