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L’uomo che uccise Don Chisciotte

Buongiorno 😊

È Venerdì e chiudiamo la settimana con la recensione di un film che ha aspettato ben più di vent’anni per essere realizzato!


Titolo L’uomo che uccise Don Chisciotte Titolo originale The Man Who Killed Don Quixote Regia Terry Gilliam Anno 2018 Genere Avventura, fantastico, commedia Lingua Inglese Paese di produzione Regno Unito, Spagna, Francia, Portogallo, Belgio Sceneggiatura Tony Grisoni, Terry Gilliam Cast Adam Driver, Jonathan Pryce, Joana Ribeiro, Stellan Skarsgård, Olga Kurylenko, Jason Watkins, Óscar Jaenada, Sergi López, Rossy de Palma, Jordi Mollà, Paloma Bloyd, Eva Basteiro-Bertoli


Un regista in crisi, con un produttore e un capo sopra di lui che ne condizionano il lavoro artistico, e un film sul mitico cavaliere spagnolo che non riesce ad essere girato dall’inizio alla fine, il sequel di un lavoro realizzato vent’anni prima come progetto universitario. Questa la vicenda che apre la storia narrata ne L’uomo che uccise Don Chisciotte, ma è anche la reale successione degli eventi dietro il film, ciò che è realmente accaduto a Terry Gilliam mentre, per venticinque anni, cercava di convincere produttori e attori della validità del suo progetto.

Realtà e fantasia si mischiano nel viaggio introspettivo di Gilliam in una Spagna straripante di pale eoliche, moderno mulino a vento, e di vaste zone brulle e disabitate, dove si inscenano i deliri quasi onirici di un regista (finto, perché interpretato da un attore) geniale ma sull’orlo di una crisi artistica, la personificazione di un altro regista (vero, questa volta) che ribadisce e ricerca la supremazia dell’opera sopra la logica del commercio e del denaro attraverso l’immortale viaggio di Don Chisciotte, un cavaliere matto che combatte i mulini a vento. Perennemente sul confine tra sogno e realtà, tra pazzia e sanità mentale, ma anche tra un passato idilliaco e un presente dalle deludenti realizzazioni, il viaggio di Toby Grisoni (interpretato da Adam Driver) e di Javier, alias Don Chisciotte (un fantastico Jonathan Pryce, il migliore del film), è una successione di imprevisti e contrattempi che si intersecano con una trama romantica, dove la fanciulla da salvare è anche lei schiava del magnate che controlla il lavoro del regista, in un circolo vizioso che mette in una posizione di stallo l’artista, diviso tra aspettative altrui e il richiamo che sente di dover seguire.

Perciò, più che raccontare dell’uomo che “uccise” Don Chisciotte, Gilliam articola una critica a tutta la serie di processi economici che regolano la produzione cinematografica, a discapito dell’arte di fare cinema, la quale diventa quasi una assurda caccia ai mulini a vento, un’inseguire una illusione trascinante quanto senza un vero scopo o una realizzazione. L’ho trovato interessante e sinceramente geniale, almeno fino a mezzora dal finale… Da quel momento in poi, quando appare più chiara la disparità tra creazione/produzione e si mischiano i due ritmi del film, quello onirico del viaggio e quello canzonatorio della realtà dei produttori, tutto ciò che di buono aveva portato al film il legame tra Toby e Javier si perde, diventando confuso, precario e distruttivo, in una conclusione che mi ha lasciata un po’ delusa, che non mi ha soddisfatto tanto quanto mi sarei aspettata all’inizio.

Mi aspettavo molto di più e non so quasi dirvi quanto mi dispiaccia che il finale mi abbia delusa… Doveva essere quasi un tripudio di nonsense, ma si perde in critiche e divagazioni personali, tralasciando il mondo onirico come il regno della pazzia.

Voi lo avete visto? Come vi è sembrato?

A presto Federica 💋

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