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Immagine del redattorefedecaglioni

Perle di memoria

Ciao a tutti!

Purtroppo questa settimana ho avuto problemi con internet e con la rete (perché sono in montagna e non prende benissimo 😓) e gli articoli che sarebbero dovuti uscire non hanno avuto fortuna! Sono rimasti tra le bozze… Perciò quelli ve li riproporrò la prossima settimana!

Oggi, se la connessione mi assiste, vi lascio il racconto che partecipa a Il Club di Aven (ex Il Gioco di Aven) e che questa settimana aveva per tema “Perle”! Spero vi piaccia 😊

Rachele guardò la collana di sua madre, la avvolse tra le dita con movimenti attenti e misurati, sfregando tra i palmi la lunga serie di sfere diafane. Ne sentiva il peso contro i palmi, la consistenza imperfetta della superficie e quella rotondità segnata da ammaccature invisibili ad occhio nudo. Non che lei potesse vederle; non che le avesse mai viste.

Per anni aveva creduto che la sua cecità l’avrebbe condizionata, trattenuta in un gabbia di oscurità da cui nessuno avrebbe potuto farla uscire. Non i suoi genitori, così dolci e presenti nel prendersi cura di lei ma incapaci di lasciarla andare, di vederla cadere e farsi male. Non le avrebbero mai permesso di rialzarsi da sola, per quanto lei provasse e li implorasse di avere la sua occasione. Li amava per il loro desiderio di spianarle la strada, ma a volte li detestava anche, per lo stesso motivo, perché desiderava capire ciò di cui poteva oppure no essere capace.

E non l’avrebbero liberata nemmeno i suoi amici più cari. Per loro, Rachele non era diversa, tuttavia sapevano di doverla avvertire di ogni ostacolo. Si trasformavano nella vista che lei non aveva e a volte quella premura le pesava, perché era consapevole che una differenza la avvertivano comunque, seppure inconscia.

Poi si era imbattuta nell’individuo più strafottente e indisponente della terra e si era sentita finalmente libera. Era se stessa.

Harry non l’aveva mai trattata come gli altri. Era attento, eppure la apostrofava sempre con un accenno di sfida, una vena di insolenza verso la sua malattia che, dopo un inizio difficile, li aveva avvicinati come non le era mai accaduto con nessun altro. Per la prima volta, che lei vedesse o no non importava e Harry continuava a ricordarle quanto fosse fortunata in realtà: le era risparmiata la vista di tutti quegli obbrobri dell’arte e della moda, e avrebbe giudicato gli altri solo per i loro discorsi e non per l’aspetto fisico. E a lui andava ancora meglio, perché poteva vantare un’amicizia che, se Rachele avesse visto, non avrebbe mai avuto modo di nascere. Si professava l’essere umano più brutto del mondo.

A quel punto lei rideva di cuore, perché aveva disegnato spesso il suo viso con le dita, si era fatta descrivere il suo aspetto, e Harry era tutto fuorché brutto. Era bello, molto più che nella media.

Ma quello che Harry intendeva non riguardava l’aspetto. Era il suo animo ad essere brutto e Rachele l’aveva scoperto solo anni dopo, dopo avergli affidato il suo amore e il suo cuore, dopo avergli consegnato le chiavi della sua libertà. Lui le aveva insegnato come cavarsela da sola e in cambio se n’era andato portando via la preziosa collana di perle di sua madre. Quel furto aveva distrutto la loro amicizia e molto altro.

Se n’era andata di casa, incapace di affrontare l’incessante amore e controllo dei suoi genitori e aveva creato la propria vita ricominciando da zero. Ora recitava a teatro, incapace di vedere i volti di chi lavorava con lei ma in grado di corrisponderne l’ardore nell’interpretare i personaggi, i sentimenti, le esistenze.

Anche quella sera lo spettacolo aveva avuto successo, il pubblico li aveva acclamati e rientrando nel suo camerino era stata travolta dal profumo dei fiori. Insieme a un regalo inaspettato.

Quel lungo filo di perle le riportava alla memoria le gioie e i dolori di dieci anni prima. Ma era stato il piccolo biglietto di scuse in braille che lo accompagnava a scatenare in lei un misto di felicità e apprensione. Rachele aveva già perdonato Harry da molto tempo, gli era persino grata per come l’aveva aiutata a prendere in mano la propria vita, e si chiese come avrebbe risposto al suo invito.

Voleva solo passare qualche minuto con lei, nient’altro, poi sarebbe andato via e non avrebbe più sentito parlare di lui. Ma era ciò che Rachele non desiderava. Perché le piccole perle che giocavano tra le sue dita non avevano riportato in superficie solo vecchi ricordi, piacevoli e dolorosi, ma anche una marea di sentimenti che credeva appassiti. E per lei, che viveva per suscitarne negli altri, era un’occasione irripetibile per sentirsi di nuovo quella di un tempo, per sapere se, negli anni, entrambi avessero custodito con cura ciò che si erano scambiati.

Perché Harry poteva averle portato via le perle, ma lei si era tenuta il suo cuore.

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