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Storytelling Chronicles

Buongiorno!


Sono davvero felice di poter tornare a parlare di questa rubrica di racconti!


La Storytelling Chronicles nasce da un'idea di Lara, book blogger (La Nicchia Letteraria), e ha lo scopo di far scrivere a chi vi partecipa un racconto al mese incentrato su un tema sempre diverso. Per questo ottobre, visto che la rubrica era ferma da un po', la tematica è stata il recupero di una storia lasciata in sospeso e mai terminata.


Il mio sconto di oggi non ha un titolo, ma avrebbe dovuto essere parte di una raccolta di racconti a tema estate che purtroppo non ho finito a causa di una mancanza di ispirazione. Tuttavia ho pensato di terminarlo per riprendere la mano con questa meravigliosa rubrica.


Spero vi piaccia!

Storytelling

«Di cosa parli?»

Fisso Thomas e mi sembra di non riconoscere più il mio migliore amico. Soprattutto adesso che se n’è uscito con una notizia bomba. Si trasferisce alla fine dell’estate e sostiene di “avermelo detto”.

«Eddai, Anna! Lo sapevi, ti ho raccontato del nuovo lavoro di mia mamma, delle sue trasferte in Olanda.»

«Sì, ma non hai mai detto che vi sareste trasferiti anche voi. Non dopo l’estate! Come farai con l’ultimo anno di liceo?»

«Studierò a casa e sosterrò l’esame da esterno.» Fa spallucce e sferra un calcio all’aria. «Senti, non è che a me piaccia. Tutt’altro. Ma i miei non ne possono più di pagare due case, le trasferte e le due vite che stiamo facendo, noi qui e mamma a Rotterdam. Si sta tutti insieme e hanno deciso che sarà in Olanda.»

Che schifo.

Serro le braccia al petto, gli occhi che corrono al lungomare di Sant’Andrea. Le nostre famiglie non solo vivono a due paesi di distanza, ma vengono in vacanza insieme all’Elba sin da prima che nascessimo, le nostre mamme diventate amiche durante il corso pre-parto. Da che ho memoria, Thomas ha sempre fatto parte della mia vita, sempre, e immaginare che tra meno di due mesi potrei non vederlo più per chissà quanto tempo è davvero uno schifo.

È il mio migliore amico, il mio tutto e anche se per lui sono solo una “sorella acquisita”, è comunque sbagliato pensare a una vita che non lo includa. Fa male scoprire di non essermi accorta che presto il mio mondo perderà il pezzo più importante di tutti.

«E poi?» domando, l’aria della sera che si fa fresca sulla pelle. «Cosa ne è del frequentare architettura insieme e aprire il nostro studio?»

Thomas esita e quando riporto gli occhi su di lui, svia lo sguardo. «Non lo so. Credo che studierò là. A Eindhoven hanno una triennale di archi…»

«Ci hai già guardato!» Lo conosco come le mie tasche e so che ha anche già preso la sua decisione. Altro che “Non lo so”. «Tanti saluti allo studio di architetti Desti-Ferrari. Ottimo, grande Thomas. Ti auguro di costruire il prossimo Centre Pompidou da solo. Tanto io non ti servo.»

Mi allontano a grandi passi lungo il molo di pietra e non mi fermo anche se grida il mio nome. Può sgolarsi per quel che mi interessa. Tanto tra due mesi smetterò di vederlo.


*


Mamma e “zia” Lidia mi guardano in modo strano, ma resto ferma a prendere il sole senza dare loro la soddisfazione di averle notate. In fondo, una delle due è responsabile del mio malumore e del dirupo ghiacciato che si è aperto tra me e Thomas, il suo primo e decerebrato figlio.

Lo stesso che si è immerso nella compagnia del gruppo dei nostri coetanei invece di cercare di… non so… sistemare le cose tra noi? Strisciare ai miei piedi e dirmi di essere rinsavito? Qualunque cosa, ma no, se ne sta con gli altri, o con suo fratello Marco e con Paolo, il mio, e ignora me. O mi lancia lunghi sguardi arrabbiati, come fosse colpa mia.

«Ci direte cos’è successo?» Mamma è la prima a spezzare il silenzio sotto l’ombrellone. «Perché tu e Tommy non vi parlate da giorni e non è normale. Non succede mai.»

«Tranne quando discutono di restauro» rincara “zio” Gian, la testa che sbuca dalla sabbia per essere stato quasi seppellito dalla sua ultima figlia, Adele. Un destino analogo a quello del mio, di padre, mezzo rivestito di granelli bianchi grazie alla tecnica da precisino del mio fratellino Luca. «Vi siete messi a litigare per quello, Annina?»

«No.»

«Allora cos’è successo?»

«Thomas le ha detto del trasloco» si intromette Luca e poi Adele aggiunge: «E dell’università di Endiover.»

«Eindhoven» la corregge sua mamma e io sbuffo.

Vacanze in famiglia con gli ombrelloni attaccati: nessuno che si faccia mai gli affari suoi. Ecco perché mi giro a pancia in giù e copro la testa con il copricostume, con tutta l’intenzione di ignorarli e far loro capire che…

«Non voglio parlarne» borbotto, un istante prima che qualcosa mi atterri sulla schiena in uno splash gelido. Mi manca il respiro per un secondo e quando mi riprendo seziono la spiaggia per vedere chi è che mi ha centrata con un gavettone.

Marco e Paolo, quattordici e tredici anni di stupidità gratuita.

«Io vi ammaz…» Scatto a sedere mentre entrambi puntano il braccio e l’indice a sinistra. Verso l’imbecille supremo, Thomas Desti all’anagrafe, che appena incrocia la mia occhiata omicida lascia cadere sulla sabbia il secondo palloncino pieno d’acqua.

«Oh, oh» canticchia Gian. «Laggiù qualcuno è nei guai.»

La mia furia per lo scherzo si stempera, si trasforma in rabbia calda e bollente che mi borbotta sotto pelle e accresce il divario tra noi. Perché sa che detesto i gavettoni. Buttami in acqua, piuttosto, così posso provare a cacciarti la testa sotto. Invece Thomas…

Raccolgo il telo, mi asciugo e finisco per indossare il copricostume. Lancio un’occhiata alla mamma e allungo la mano verso di lei, il palmo aperto all’insù.

«Mi daresti le chiavi di casa? Vado a fare una doccia e a fare qualche compito intanto che siete tutti qui.»

Mamma fruga nella grande borsa e me le passa con un’occhiata eloquente e preoccupata. Lo so, non è chiuso qui il discorso e ne parleremo dopo. Va bene. Tutto pur di allontanarmi dal ragazzo che ha fatto sparire il mio migliore amico.

Sì, il mio problema è che si trasferiranno e non studieremo più insieme. Ma non è tutto. Perché ho una cotta stratosferica per un idiota che neanche se n’è accorto e che finisce per diventare un completo estraneo.

Ci provo, davvero, a far finta che vada tutto bene, tuttavia il tempo rema contro di me. Tre settimane di vacanze e poi siamo di nuovo a casa, in un agosto che si presenta caldissimo e in cui la famiglia Desti trasloca a Rotterdam in via definitiva.


*


Sant’Andrea, isola d’Elba. Dieci anni dopo.


Una vacanza tutta pagata in una delle isole più belle dell'arcipelago toscano.

Solo un pazzo avrebbe rifiutato e, visti i tempi magri che corrono a causa del tirocinio e dell'affitto aumentato all’improvviso, io non me la sono proprio sentita di rinunciare agli unici sette giorni di ferie che avrò quest’anno.

Neanche se significa condividere l'appartamento di nuovo con i miei come quando ero ragazzina e all'Isola d'Elba ci venivamo tutte le estati, con i Desti al completo.

Stavolta ci sono solo zio Gian e zia Lidia, l'ombrellone sempre accanto a quello dei miei, tutti e quattro spaparanzati a prendersi il sole o a giocare a carte. Io me ne sto seduta sulla spiaggia e li ascolto chiacchierare, un tuffo nel passato che non immaginavo avrei fatto quando sono scesa dal traghetto stamattina.

«Allora, Annina» mi richiama Gian quando papà è intento a controllare le carte durante il suo turno, «come va a Roma? Quegli schiavisti ti hanno liberato alla fine, eh?»

Abbozzo un sorriso nel voltare la testa verso di lui. «Solo per questa settimana. Ma è stato il mio capo a spingermi in ferie, perché mi ha detto che altrimenti lo avrei fatto sfigurare se fossi rimasta in ufficio a fine luglio.»

«Lavori troppo» borbotta la mamma, le labbra arricciate attorno al ghiacciolo. «Non so quand’è l'ultima volta che sei tornata a casa. O quando ti ho vista rilassarti per più di cinque minuti.»

«È stato a Natale, e sono rimasto fin dopo capodanno.» Allungo le gambe, i piedi affondati nella sabbia calda e le mani stese dietro di me per crogiolarmi al sole. «Questa settimana ho intenzione di recuperare, non preoccuparti.»

«Mi fa piacere sentirlo» si congratula mentre papà esclama: «Alleluia! Proprio questa mi serviva». Cala un tris sul tavolino improvvisato e vince la partita a scala quaranta con un enorme sorriso sulla faccia, tanto soddisfatto quanto lo è la piega scontenta che mostra invece lo zio Gian.

Anche io sorrido, gli occhi chiusi rivolti al cielo sopra di me e al sole che mi scalda la pelle e riporta a galla le numerose estati passate insieme a sentire esattamente le stesse parole, dette da uno o dall'altro a seconda di chi avesse vinto la partita. Non tornavo qui da anni, da quando i Desti si sono trasferiti in Olanda e hanno cambiato le nostre abitudini condivise, le vacanze diventate qualcosa da passare da soli.

Soltanto da un paio d’anni gli “zii” Gian e Lidia sono tornati a vivere in Italia, e questo è il primo che passano di nuovo con i miei qui all’Elba. Ha un certo non so che di catartico ritrovarci qui, la nostalgia evidente nella nell'assenza dei miei fratelli e dei figli dei Desti.

Paolo è a Malaga, in Erasmus, il suo feed Instagram pieno di foto di ragazze e amici in spiaggia che lasciano immaginare quanto tempo dedichi allo studio mio fratello. Luca, invece, è rimasto a casa per prepararsi al test d'ingresso a medicina. I Desti invece…

«Adele è ancora a Lione?» chiedo, curiosa di scoprire cosa ne è stato della più piccola del nostro gruppetto e che ormai ha già diciannove anni, con una neo carriera da attrice teatrale ben inviata sulle spalle. «O era a Marsiglia?»

«Lione» conferma zia Lidia con un sorriso orgoglioso. «La compagnia per cui lavora ha deciso di restare lì un'altra settimana. Si trasferiscono a Londra per gli inizi di agosto, per poi girare il Regno Unito durante il mese e per tutto settembre.»

«Però! Sarà esausta al suo rientro.»

«Sì, ma se tutto va bene, il tour potrebbe darle l'esperienza necessaria per fare alcuni provini per dei ruoli da protagonista in alcune produzioni di rilievo. O così mi ha spiegato quando ci siamo sentite settimana scorsa.»

«Il nostro Marchino invece ha trovato il posto fisso» esulta Gian. «Contratto indeterminato, bonus annuali e la proposta di un avanzamento di carriera nel giro di due anni, se mantiene gli stessi standard avuti finora.»

«Che colpaccio! Buon per lui» si congratula papà. «Nella stessa azienda dove lavoravi tu, Lidia?»

«Sì, ma nel ramo commerciale.»

E Thomas?

La domanda mi scotta la lingua, il desiderio di pronunciarla tanto forte quanto lo è il rammarico che mi porto dentro dall'ultima volta in cui ci siamo parlati davvero. È stato su quest'isola, giusto un attimo prima di prendere il traghetto che avrebbe riportato la mia famiglia a casa e la sua in un viaggio verso l’Olanda.

«Thomas, invece?»

Levo un ringraziamento silenzioso alla curiosità della mamma, le orecchie tese per captare ogni singolo dettaglio della conversazione anche se fingo di rilassarmi e prendere il sole senza badare troppo a ciò che mi circonda.

«Ha finito un grosso lavoro una settimana fa, la riqualificazione di una fabbrica dismessa poco fuori Eindhoven.» Percepisco l’orgoglio di Gian dalla voce. «Lo ha seguito tutto lui, dall’inizio alla fine.»

Sul serio?

A me ancora non hanno dato nulla da seguire in toto, solo piccoli stralci di progetti di cui dovevo ricontrollare i calcoli. Giusto tempo fa me ne lamentavo con la mamma e…

«Hai sentito, Anna?»

Appunto… «Cosa, mamma? Non ho seguito.»

«Thomas ha già chiuso un suo progetto.»

«Ah, bene. Su cosa?»

«Una riqualificazione. Tu no, Annina?» Mi costringo a ingoiare la frustrazione alla domanda dello “zio”. «Ma lavori là da quanto, due…»

«Tre anni il prossimo marzo.»

«Ah. E ancora nulla?»

«No.» Mi stringo nelle spalle. «Hanno in carico tutte opere già avviate.»

E le nuove…

«Mentre i nuovi progetti li assegnano al figlio e al nipote del capo» si lamenta mamma per me. «Due raccomandati inetti.» Faccio per scoccarle un’occhiataccia ma mi anticipa: «Te ne sei lamentata anche tu, quindi non ho detto nulla di sbagliato».

«Sì, ma è diverso. Comunque, forse si apriranno nuove possibilità a settembre.»

«Forse…» interviene “zia” Lidia «… puoi chiedere a Thomas. So che lo studio dove lavora cerca un architetto con una competenza specifica, credo per la conservazione o qualcosa del genere. Me ne ha parlato settimane fa, ma…»

«Avranno già trovato qualcuno» la fermo con un sorriso di ringraziamento. «Fa niente. In più, trasferirmi, in Olanda o altrove, non mi alletta poi granché.»

«Guarda che…»

«Glielo puoi chiedere tu stessa» Lidia blocca qualunque cosa stesse per dire suo marito. «Ci raggiunge anche lui, dopodomani. Si è preso qualche giorno di ferie.»

L’entusiasmo dei miei alla novità e la miriade di domande e programmi da fare distrae l’attenzione dei Desti quanto basta a permettermi di isolarmi e tenere al guinzaglio il panico per la notizia bomba.

Dopo dieci anni, passerò una vacanza con Thomas.

Dio…

Perché non sono rimasta a Roma?


*


Chi è che si è dovuta alzare presto per andare a prendere Thomas Desti al traghetto?

No, alt: chi è che si è fatta Sant’Andrea–Portoferraio alle otto di mattina, in ferie, perché i suoi e gli “zii” sono dovuti rientrare senza preavviso?

La sottoscritta, abbastanza scema da cedere al “Dai, Anna, resta almeno tu e goditi le vacanze” di Lidia e al “Non puoi lasciare che Thomas arrivi e resti qui da solo” di mamma.

Ieri è stato un cataclisma di proporzioni epiche, con papà e Gian trasportati in elisoccorso a Livorno perché nell’ospedale dell’isola manca il chirurgo ortopedico e loro si sono rotti, rispettivamente, il crociato destro e la spalla sinistra in uno scontro in acqua di cui ancora non riesco a collegare la dinamica ai punti che hanno fratturato.

Neanche loro se lo sanno spiegare, tant’è che la giustificazione ai soccorsi e alle mogli è stata un “Eh, chi lo sa?”, per poi essere caricati in elicottero e sparire nel cielo bluette del tardo pomeriggio, mamma e la zia sull’auto dei Desti senior con le valige e di fretta per prendere l’ultimo traghetto della giornata per la penisola.

A me è rimasta la macchina dei miei, una panda euro anteguerra color topo che ha ancora le manovelle invece degli alza-finestrini elettrici. E che mi scalda il posteriore appoggiato sul cofano nell’attesa di scorgere Thomas scendere dal traghetto in mezzo agli altri appiedati.

Il maggiore dei figli Desti dovrebbe essere facile da riconoscere. Non ci siamo parlati molto negli ultimi dieci anni, però so che faccia ha – grazie feed di Instagram –, eppure di lui non c’è traccia. Cioè, il ragazzo castano e occhiali da sole potrebbe essere lui, forse. Smonta dalla scaletta e sfila tra la gente come Noè nel Mar Rosso, sicuro come non ho mai visto Thomas in tutta la mia vita, il borsone in spalla tenuto da un braccio troppo allenato per appartenere a un architetto il cui massimo esercizio è tracciare linea a matita o al computer.

Sicuro non è Thomas.

È anche troppo abbronzato per essere davvero lui, un quasi olandese d’adozione.

Depennato il figo biblico, riporto gli occhi sulla scaletta, le dita che scorrono sullo schermo del cellulare per recuperare i messaggi sulla chat di famiglia e i vari scherzi dei miei fratelli alla foto di papà con il mega-tutore che lo fa sembrare deformato come il gobbo di Notre-Dame, o così dicono. Hanno ragione, ma non lo ammetterò mai. Dopo la preoccupazione e l’ansia di stanotte, divertirsi per loro è facile, non altrettanto per me.

Però, davvero ricorda Quasimodo.

«Anna.»

Gli occhi scattano alla mia destra, inquadrano un paio di sneakers nere, pantaloncini e maglietta leggeri accompagnate da un borsone scuro abbandonato lungo le gambe. L’espressione sorpresa sul viso affilato che si è fermato accanto alla panda fa il paio di certo con la mia nello squadrarlo, nel tuffarmi in occhi d’ambra e nel dare un nome e un’identità al figo biblico che non avrebbe mai potuto essere il mio amico d’infanzia.

«Thomas?» gracchio e mi rifilo uno schiaffo mentale per il tono interrogativo. «Ehi, Thomas! Ti ho visto scendere, ma non ti ho riconosciuto… da lontano.»

Lo aggiungo all’ultimo, un blando tentativo di limitare i danni a una figura di melma già epica.

«Tu, invece, sei sempre uguale.» Toglie gli occhiali da sopra la testa e li aggancia allo scollo della maglietta. Gli occhi verdi brillano di buonumore le posarsi sulla macchina. «Anche la panda dei tuoi.»

«Vero? Sempre la stessa trappola di calore.» Che sto blaterando? «Ehm, pronto ad andare?»

Annuisce, lo sguardo che passa da me al parcheggio e torna sulla sottoscritta dopo un attimo, la confusione evidente nella sua occhiata.

«Tutto ok?»

«Sì, scusa. È che…» Si passa la mano libera nei capelli, di nuovo a cercare qualcosa che non so nel parcheggio di Portoferraio prima di riportare l’attenzione di me. «Non voglio sembrare scortese o ingrato, però… Non doveva venire mio papà a prendermi?»

«Tuo…» 

Oh, per la miseria. Glielo hanno detto, vero? No? Non possono averlo lasciato all’oscuro di tutto. Sarebbe troppo, perché dovrei raccontargli io la novità e non è come ho immaginato la reunion tra noi.

Una a cui non ero preparata lo stesso.

«I tuoi sono a Livorno, come i miei genitori.» Smonto dal cofano e gli indico la panda. «Andiamo. Ho un’oretta per aggiornarti sui disastri di ieri.»

La strada fino a Sant’Andrea la passiamo così, io che gli racconto la disavventura dei nostri padri e lui che mi ascolta incredulo e poi arrabbiato. A metà viaggio finisco con gli occhi incollati davanti a me, mani sul volante e la voglia di fuggire dall’auto per non ascoltare lo sclero di Thomas con i suoi. Tuttavia, faccio da testimone non volontaria al suo sfogo continuo, finché non li saluta e riattacca.

Sobbalzo, spaventata più da quello che credo sia un impropero in olandese che dal pugno sul cruscotto tirato da Thomas all’improvviso.

«Scusa» borbotta. «Non volevo spaventarti.»

«Figurati.» Mi permetto un’occhiata fugace nella sua direzione e lo trovo girato verso il finestrino dal suo lato, una gamba che tamburella frenetica. «Ti riporto indietro?»

Scatta a guardarmi e riporto l’attenzione sulla strada. Sento addosso la sua curiosità, mi striscia sulle braccia scoperte e solletica il viso. È stato lui a dire a “zia” Lidia che avrebbe preso il traghetto per raggiungerli, la mia è una domanda lecita.

Che risponda!

«Ti faresti davvero un’altra ora di macchina, solo per accompagnarmi a Portoferraio?»

Faccio spallucce. «Io ero con loro e, a parte lo spavento, so che stanno bene. Ho avuto la notte per assimilare la notizia.» Arrischio uno sguardo di sfuggita. «Tu no.»

Annuisce e la gamba riprende a fare su e giù peggio di una molla.

«Grazie, però no, vengo con te. Come ha detto mia madre: “Già c’è lui a rendersi ridicolo con le battute sulle stampelle, ci manchi tu a ronzargli intorno e a dirgli come dovrebbe tenere la gamba. Risparmiami, almeno tu.”.» Un sorriso amaro gli piega le labbra. «Non era cosi che mi immaginavo di iniziare le vacanze.»

«Già, una sorpresa, da più punti di vista.»

Silenzio, il motore a farci da accompagnamento insieme al vento attraverso i vetri abbassati. Dieci anni e neanche so di cosa cavolo parlargli adesso che lo rivedo.

«È…» Mi schiarisco la gola, gli occhi sulla strada e l’imbarazzo a fiatarmi sul collo. «È la prima volta che torni all’Elba o…»

O ci sei venuto senza di me?

Noi, accidenti a me, la famiglia Ferrari al completo. Thomas e io non abbiamo mai fatto una vacanza qui da soli.

«Ci sono tornato una volta, quattro anni fa. Ho portato alcuni amici, e la ragazza dell’epoca.»

«Ah.» Non mostrarti delusa. Sorridi e annuisci. «Deve essere stato bello.»

«No, non proprio. Lei si è scottata il primo giorno e così abbiamo passato la settimana in hotel, perché non voleva rischiare. Sei giorni di ombra, piscina e pomeriggi di vuoto cosmico.»

«Che palle.» Mi sfugge prima che possa trattenermi. Oh, la melma si fa più profonda. Arrischio un’occhiata verso Thomas e lo trovo con un mezzo ghigno sulla faccia. Ah, sì, è così? «La crema solare no?»

Scoppia a ridere alla mia provocazione e di colpo ho di nuovo quindici anni, lui è il mio migliore amico e abbiamo appena guardato la scena di Twilight in cui Robert Pattinson brilla sotto il sole. Se n’è uscito lui con quella domanda, tanto inaspettata che sono scoppiata a ridere e sono andata avanti per mezz’ora. Da allora è diventata uno scherzo solo nostro, un segreto che abbiamo tirato fuori ogni volta che qualcuno si comportava in modo assurdo.

«Ho idea che ci divertiremo in vacanza insieme.»

Sorrido.

Sì, forse non sarà tanto male.


*


Il signor Davide ci ha visti crescere.

Lo sa che siamo solo vecchi amici e che le nostre famiglie non sono imparentate, ma è come se lo fossero.

Ne è consapevole.

Eppure accende lo stesso la candela in mezzo al tavolo, la vista sul mare e il tramonto a renderlo il migliore del ristorante.

Non è un appuntamento. Anche se lo sembra.

È da tre giorni che Thomas e io diciamo di voler venire a cenare qui, come facevano in vacanza da piccoli, e stasera mi ha sorpresa portandomici senza che sapessi nulla. Da quando siamo arrivati a Sant’Andrea, è stato come tornare quelli di un tempo, un duo di amici intenzionati a godersi al massimo il tempo al mare e a ripercorrere i divertimenti dell’adolescenza come se non fosse passato un solo giorno.

Come se dieci anni fa non avessimo mai litigato. E lui non mi avesse spezzato il cuore.

È il mio migliore amico.

Tuttavia né io né lui abbiamo chiesto all’altro come stiamo, come va il lavoro o, Dio non voglia, se ha letto l’ultimo studio pubblicato su Global Architecture. La nostra passione è un tabù che ci portiamo sulle spalle, pesa a tutti gli effetti e aspetta solo il momento giusto per caderci addosso e travolgerci.

Per adesso, però, ci sediamo e fissiamo a vicenda in attesa che il proprietario del ristorante ci lasci soli col menù del giorno.

«E i papà come stanno?»

«Operati» rispondiamo all’unisono, anche se è Thomas ad aggiungere: «E convinti di potersi muovere come se stesse bene, almeno il mio».

«Pure il mio. L’altra notte s’è quasi fatto saltare i punti.»

«Ahi-ahi, non va bene. Poveretti!» Libera i menù dalla stretta con cui li tiene in ostaggio e ci regala un cenno bonario. «Chiamatemi quando siete pronti.»

Studio le voci con attenzione per non affrontare la strana tensione che aleggia sul tavolo, ed evitare l’occhiata insistente di Thomas.

Credo che prenderò un primo o…

«Non gliel’ho chiesto io.»

«Cosa?» Devo sforzarmi di far uscire quest’unica parola.

«La vista, la candela e l’atmosfera romantica» elenca, uno sbuffo ad accompagnare lo sguardo levato al cielo. «Ha fatto tutto Davide.»

«Non che noi gli abbiamo fatto intendere il contrario. Siamo anche vestiti eleganti.»

«Tu di sicuro! Io? Niente che non indosserei anche in studio. Mi mancano solo la giacca e la cravatta, poi sono il solito di tutti i giorni.»

Chissà perché ne dubito.

La camicia bianca poi gli fa risaltare l’abbronzatura, molto più marcata di quella sfoggiata al suo arrivo. Un mix fin troppo irresistibile, se ci aggiungo quanto sia affascinante con le maniche arrotolate sugli avambracci e i pantaloni grigi su misura.

«Comunque, ti sta bene il vestito.»

Il complimento arriva inatteso, così come lo è l’esame alla mia figura fin dove riesce a scorgerla. L’abito leggero sembra modellarmisi addosso, invece che cadere ampio come faceva davanti allo specchio un’oretta fa. Le spalline sottili e lo scollo a cuore non devono neanche nascondere poi tanto bene la pelle d’oca.

Dare la colpa alla brezza in riva al mare sarebbe inutile. Non tira un fil di vento stasera.

«Grazie. Non ero convinta fosse l’acquisto migliore della vacanza.» Me ne sono corrucciata al telefono con la mamma giusto ieri pomeriggio e Thomas deve avermi sentita per forza, sdraiato sotto l’ombrellone accanto al mio. «Invece non è male.»

«Ti dona.» Lo ripete quasi soprappensiero e si schiarisce la voce per tornare in sé. «Hai già deciso cosa prendere?»

«La pasta con gli scampi. O forse il pesce del giorno, dipende cos’hanno pescato. Tu?»

«Il guazzetto di pesce. Sono anni che non lo mangio.»

Passo in rassegna i suoi vestiti e sollevo entrambe le sopracciglia. «Coraggioso da parte tua.»

«Perché…» Abbassa la testa e gli sfugge un sorriso. «Già… Avrei dovuto mettere una polo scura.»

«Come se lì le macchie non si vedessero…» Abbandono il menu sul tavolo e intreccio le dita. «Scommetto che a fine cena sarai messo peggio di un quadro di Pollock.»

«Ah sì?» Incrocia le braccia al petto e fa scivolare lo sguardo di nuovo sul mio vestito. «Rilancio: quando pagheremo il conto, l’azzurro sarà ben poco visibile sotto tutte le macchie di sugo.»

«Cosa ottiene il vincitore?»

«Un premio a scelta. Qualunque cosa vogliamo.»

Che tra noi torni a funzionare come prima di quell’estate.

Una speranza irrealizzabile la mia, tuttavia non mi impedisce di annuire e accettare la sfida di Thomas.

Che vinca chi riesce a sporcarsi meno.


*


Premesso che entrambi abbiamo un campo minato al posto degli abiti, lui è quello messo meglio.

Giusto qualche schizzo rosso gli macchia l’addome e quasi una spalla, nulla a che vedere con la chiazza rossastra che sembra essersi espansa su metà della mia vita. Tutta colpa di un gambero traditore, la testa rimasta impigliata nella forchetta e caduta all’ultima secondo.

Tra l’oscurità che avvolge la spiaggia stasera e l’attesa di scoprire quale premio voglia riscattare, la macchia è l’ultima delle mie preoccupazioni.

Stiamo facendo ritorno ai nostri appartamenti con lentezza, la passeggiata sul bagnasciuga una sua richiesta. Ha precisato che non era questa la sua richiesta per la scommessa persa, i minuti trascorsi lenti da quando abbiamo spogliato scarpe e sandali e ci siamo incamminati.

La sabbia tra le dita scatena brividi che corrono su fino alle braccia, ma la pelle d’oca non ha nulla a che fare con i granelli, né con la temperatura fresca e la brezza leggera.

È l’accenno di sorriso sul volto di Thomas a scatenarla, il nostro silenzio, placido e familiare, un’assenza che non mette a disagio ed è invece tipica di chi sa apprezzare la compagnia reciproca solo per il fatto di esserci e condividere quell’anfratto di esistenza con l’altra persona.

Lo abbiamo sempre avuto, questo privilegio, anche da ragazzini, e riscoprirlo adesso mi riempie di nostalgia.

Una morsa mi stringe il petto, il cuore disabituato a simili capriole. Ma non dovrei stupirmene. Ho passato gli ultimi dieci anni a non parlargli perché sapevo che sarebbe accaduto di nuovo, proprio come durante le estati passate qui all’Elba. Solo Thomas ha sempre avuto il potere di riuscirci.

D’un tratto, lui si ferma e così anch’io, la domanda su cosa sia successo bloccata tra lingua e labbra nel vedere lo stupore che gli ha trasformato l’espressione. Le luci dei locali sulla spiaggia mi permettono di scorgerlo meglio, gli illuminano il viso di riflessi blu e arancio che non nascondono quanto bello sia diventato.

«Anna» sussurra, il rumore delle onde quasi a sovrastargli la voce. «Ho appena avuto un’epifania.»

«Davvero?» Annuisce e ricomincia a sorridere. «Su cosa?»

«Su di me e… e su questo posto. Sul perché non ci sia più tornato per anni, o perché quando l’ho fatto non sia stato bello come ricordavo.»

Trattengo il respiro, la riflessione così simile alla mia da farmi tremare e stringere le braccia al petto.

«Hai freddo?» domanda, gli occhi veloci a scrutarmi il corpo e a scatenare un piacevole senso di… «Dai,  rientriamo, altrimenti…»

«Sto bene. Non ho freddo.» L’interruzione mi fa guadagnare un’occhiata scettica, però non cedo. «Cosa dicevi? Sull’epifania.»

Non risponde. Copre invece il mezzo passo che ci separa, un tonfo ad avvertirmi che ha lasciato cadere le scarpe sulla sabbia. Non mi interessa, non quanto il verde magnetico dei suoi occhi nello scrutarmi. È tanto scuro da sembrare nero, eppure non posso ignorare quanto sia profondo, un vortice in cui perdermi e ritrovarmi.

«Thomas.»

«Non ci sono più tornato perché mancava questo.» Indica noi due e lo spazio che era rimasto a separarci si restringe. «Quattro anni fa non è stato altrettanto bello perché non c’eri tu

Lascio cadere le mani lungo i fianchi e anche i miei sandali finiscono sulla spiaggia, dimenticati assieme alle sue scarpe.

«Negli ultimi dieci anni mi sono chiesto cosa ci fosse successo e ho ignorato tutte le risposte che non suonassero come una scusa del tipo “Succede, è la vita”, o “Alcune amicizie non sono fatte per durare”. Ci ho anche creduto, sai? Mi sono detto che tu e io non eravamo davvero legati, al di là delle vacanze passate insieme o delle chiacchierate di architettura, che puntualmente finivano in discussioni su chi di noi due avesse torto o ragione. Stasera mi sono accorto di non aver capito una mazza per oltre metà della mia vita.»

«Davvero?»

«Già.» Allunga la mano, avvolge le dita attorno al mio polso e la curiosa fame che mi stringe lo stomaco in risposta sembra riflettersi in quella che gli anima lo sguardo. «Perché sì, eravamo migliori amici, eppure non era una menzogna che quel legame non fosse fatto per durare. Sarebbe finita comunque, anche se non ci fossimo trasferiti in Olanda alla fine di quell’estate.»

«Bello sentirselo dir…»

La mano libera mi zittisce. Thomas scuote piano la testa e sorride.

«Ti scaldi sempre e non mi fai mai spiegare. È stato questo a fregarci, l’ultima volta.»

Arriccio le labbra contrariata, ma non so se per le sue parole o per la sensazione della sua pelle contro la bocca. Basterebbe così poco per scoprirne il sapore. Non che osi muovermi per scoprirlo.

«Sai perché sarebbe finita?»

«Perché tiri le spiegazioni troppo per le lunghe?» Il commento sarcastico mi vale un sogghigno divertito, la mano che si sposta per circondarmi la guancia. Mi blocco, travolta da quanto paradossale, assurdo e magnifico sia questo istante. «Perché?»

«Perché prima o poi mi sarei accorto di come condividere qualcosa di tanto semplice quanto un attimo di silenzio sia speciale, se fatto con te.» Mi accarezza con entrambi i pollici, uno lo zigomo, l'altro l'interno del polso. «Perché avrei capito che ciò che mi piaceva davvero dell’estate passata qui all'Elba non era soltanto il mare o i divertimenti, ma era l’insieme di tutte queste cose nel quale eri tu a fare da collante. Ci tornavo volentieri perché sapevo che saresti stata qui accanto a me, proprio come stasera e negli ultimi giorni. Era così anche per te, o mi sbaglio?»

«No. Le vacanze erano migliori quando eravamo insieme.»

Annuisce, il calore a incupirgli lo sguardo e a rendergli roca la voce quando riprende a parlare.

«Questa vacanza mi ha dato una scossa, Anna, e adesso ho ben chiaro in mente qual è sempre stato il destino della nostra amicizia. Doveva finire, per farci vedere cosa vi si nascondesse dietro.»

Ho una parola tatuata sulla pelle, cinque lettere il cui suono è un rimbombo nelle orecchie e lungo la gola che riesco a trattenere a stento.

«Cosa c’era?» chiedo invece.

Thomas sorride. «Chiudi gli occhi.»

«Adesso?»

«Sì. È il mio premio per aver vinto la scommessa.»

Un colpo basso.

Tuttavia chiudo le palpebre e l’intero mondo si restringe ai punti in cui non smette di toccarmi. Non esiste più il rumore del mare, o il vociare distante della persone nei locali lungo la spiaggia. Percepisco solo Thomas e la sua voce, una carezza roca lungo la gola e un canto di sirena pronto ad ammaliarmi quando appoggia le labbra al mio orecchio.

«Amore.»

Repliche, respiri, battiti asincroni ed emozioni mi esplodono nel petto in un caleidoscopio di colori, fuochi d’artificio che non si vedono ma sono assordanti quanto… no, molto più di quelli reali ammirati ieri alla sagra del paese.

Poi anche quelli svaniscono.

Resta Thomas. Rimango io.

Due corpi fusi insieme tra baci e carezze in ritardo di anni.

O forse maturati al sole delle estati passate a diventare chi siamo oggi, imperfetti pezzi di puzzle finalmente incastrati l'uno nell'altra.


*


Sant’Andrea, isola d’Elba. Sei anni dopo.


Uno schiamazzo improvviso e mi ritrovo la schiena fradicia, a terra ai miei piedi un rimasuglio di palloncino colorato.

Gavettoni.

Passo in rassegna quei decerebrati con cui sono in vacanza. Mio fratello e Marco negano subito, le teste puntate verso il gruppetto con i nostri padri, il mio altro fratello e il maggiore dei figli Desti. I primi sghignazzano tanto forte che faccio scattare l’occhiata tagliente proprio sull’ultimo dei quattro.

Immobile, un esemplare di uomo che sa di averla combinata grossa e che prende subito a scuotere la testa. Punta l’indice verso l’ammasso di ciocche castane che gli sbuca da dietro le ginocchia ed è sulla sua versione in miniatura che mi concentro.

Roberto Desti.

Tre anni e mezzo, e una propensione a comportarsi come suo padre.

L’amore della mia vita.

Uno a cui corro incontro per acciuffarlo e trascinarlo in acqua con me. Gli schizzi lo fanno ridere, un suono cristallino quanto il mare.

La perfezione assoluta.

Fatemi sapere se vi è piaciuto 😊

Federica

7 commenti

7 comentarios


Ciao Fede, eccomi. Scusa il ritardo... Il mio commento è solo questo: ho gli occhi a cuoricino. Mi hanno fatto morire il sarcasmo di Anna e le due famiglie... si vede che hai un buon feeling con le famiglie. Adoro i friends to lovers e il tuo racconto è spettacolo. A quando un libro intero?

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Tany
09 nov

Bentornata in questa rubrica, Fede! è davvero bellissimo rileggervi tutte ma in particolare te che sei sempre stata tra le mie preferite. Non mi hai deluso neanche stavolta con questa storia dolcissima e romantica. Adoro il "friends-to-lovers" e aggiunto con il tuo stile hanno fatto un combo perfetto per la sottoscritta.

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Ciao Fede! Immagino che questa idea era nata per essere poi inserita nell'antologia estiva di ultima pubblicazione e... ammetto che una storia così bella avrebbe solamente arricchito la raccolta! Detto questo, immagino si sia capito QUANTO mi sia piaciuto il racconto, vero? Non sono esperta di thrope, né di romance contemporanei, ma posso dire che il friends to lovers è centrato in pieno e prende davvero tanto. Sei stata bravissima a raccontare un passato e un presente (taaaanto lontani, dieci anni addirittura?! O.O) e come sono stati vissuti dalla protagonista. Sappiamo molto meno di lui (come ha trascorso questi dieci anni, a parte le grandi imprese lavorative? xD) ma ci sta con un pov femminile in prima persona! Anche a…

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06 nov

Calmi tutti: io voglio sapere il prima, il durante, il tutto. Scriverai la loro intera storia prima o poi? Perché credo siano due personaggi che meritano di dire ciò che hanno vissuto, come sono arrivati al momento finale, tutto ciò che li ha portati a quel momento. Ho letto tutto con il fiato sospeso, curiosa di capire cosa sarebbe successo e soprattutto come avrebbero reagito i due. Hai creato due personaggi che sicuramente hanno attirato l'attenzione e sarei curiosa di leggere altro su di loro. Complimenti per la storia.

Liv

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Federica, eccomi anche da te ;) Come ho fatto per le altre partecipanti, volevo ringraziarti per aver dato, ancora una volta, la tua adesione alla mia rubrica di scrittura creativa: posso anche essere stata io ad aver avuto questa idea, ma senza le persone con cui condividerla, non sarebbe stata proprio la stessa bella avventura che ogni giorno si dimostra essere :3 Quindi, grazie grazie grazie (includiamo anche la realizzazione del nuovo banner, ovviamente -) <3


Ora però passiamo al tuo racconto! Prima di tutto, ti avviso di qualche errorino riscontrato qui e lì. So che sei pignola come me -dopotutto, siamo entrambe del segno della Vergine ahahah-, perciò ti ho voluta avvertire :) Il più grave forse è la…


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