Buongiorno a tutti e buon venerdì!
A chiudere la settimana fa ritorno una rubrica super creativa, la Storytelling Chronicles, nata dal gruppo di scrittura creativa omonimo! Come vi dicevo il mese scorso, l’iniziativa ha lo scopo di aiutare a far conoscere quello che scriviamo e anche migliorarci ascoltando i commenti/consigli di chi partecipa (e di chi tra voi lettori vorrà commentare)! Il gruppo nasce grazie a Lara de La nicchia letteraria (grazie, di nuovo, per avermi coinvolta ❤️) e la grafica è di Tania di My CreaBookish Kingdom.
Per questo mese il tema è “Papà”, proprio perché a marzo cade la festa del papà e questo è il mio racconto a tema!
Dopo essere scampata dall’assalto di un lupo nei boschi attorno al proprio villaggio, la giovane Melody rientra nella propria casa e affronta la propria quotidianità.
Rientrando dalla porta sul retro sono sorpresa da tre paia di occhi. Tobias e la nonna mi salutano alzando il cucchiaio dalla ciotola di quella che ha tutta l’aria di essere minestra di cavolo, invece mia madre mi rifila un’occhiata torva. Appena uscita dal folto della foresta, ho costeggiato un quarto del perimetro del villaggio per arrivare all’edificio di pietra che fino a due anni fa era casa di mia nonna e mi ci sono sprangata dentro. Mi serviva un posto in cui calmarmi e dove potessi riparare la tracolla. Ci ho passato un’ora buona, controllando che non avessi tagli o ferite visibili, e sono riuscita a trovare anche la mantella di scorta. La appoggio al chiodo infilato nella parete. È identica a quella che ho lasciato nel bosco, perciò nessuno si accorgerà della differenza. Nessuno sospetterà che mi è accaduto qualcosa. Se mia madre intuisse che un lupo mi ha attaccata, sarebbe la fine. Impazzirebbe. «Sei in ritardo» si avvicina al camino, dove sobbolle un pentolone mezzo pieno, e versa un mestolo di zuppa in una scodella, dopodiché lo appoggia con un gesto secco sul lato del tavolo più vicino a me. È furiosa. «Mi sono fermata a casa della nonna per riparare la borsa» afferro la cena e prendo posto accanto a Tobias. «Si è impigliata in un ramo mentre rientravo» La zuppa calda è un toccasana, sia per lo stomaco, sia per i nervi. Il calore mi da un po’ di stabilità e la certezza di essere in un territorio che conosco, di poter affrontare il da farsi con la mente lucida. Le gambe tremano ancora ma finché riescono a tenermi su, io non vacillo. Tutti hanno bisogno che continui ad andare nei boschi. Un lupo non mi fermerà. «E la mantella?» la nonna alza gli occhi dalla zuppa e mi fissa. «L’hai cambiata» «È la stessa di questa mattina» sorrido. «Mamma ti ho preso la corteccia di castagno. Ce n’è abbastanza per un centinaio di decotti» «Un’altra epidemia di prurito?» Tobias allunga le dita verso il collo, dove i funghi dell’inverno scorso gli hanno lasciato delle macchioline rosa scuro. Per evitare che grattasse le croste ho dovuto tenerlo legato al letto per una settimana e nonostante tutto, non sono riuscita a evitare che gli lasciassero i segni. «Tranquillo, quest’anno le cinghie non si allenteranno» «Quest’anno si spera che non succeda di nuovo, altrimenti i danni non si conteranno» il lato positivo di mia madre colpisce sempre nel segno, specie se è arrabbiata. È capace di gelare il sangue alle persone più di quanto possa fare un predatore dei boschi. «Come vanno le cose con i sorveglianti?» al mio rientro, il registro era già stato firmato nella colonna con il mio nome. Tobias deve averlo fatto prima di smontare dal turno di guardia. «Conb mi fa sgobbare. Ma se si tratta di controllare i registri, direi che si fida» occhiata furtiva, sorrisetto. Tobias è veramente facile da leggere e anche mia madre e mia nonna capiscono cosa ha fatto oggi e cosa fa sempre per me. Lo sguardo di biasimo di mia madre centra entrambi, ma io sono la sola a risentirmene. Il suo continuo astio per quello che faccio e per i luoghi in cui vado mi fa soffrire. Amo i boschi, ma non ci vado solo per me stessa. Lo faccio per lei, per la nonna, per mio padre e per tutte le persone che vivono nel nostro villaggio. Non sono io ad aver bisogno di tutte quelle medicine. «Papà ha già mangiato?» domando e al cenno di no di mia madre mi alzo e riempio di nuovo la scodella. «Glielo porto io» vicino alla porta della camera mi passa un boccettino di vetro. Dentro, una purea biancastra ondeggia a ogni movimento. Detesto vederlo prendere questo intruglio ma serve a farlo stare meglio, anche se il solo momento che gli è rimasto per stare bene è quando non sente dolore. Con passo felpato entro nella stanza dove dormono i miei genitori e Tobias, cercando di non far spaventare mio padre. La sua testa si muove nella penombra, un soffio leggero come respiro e un nome sussurrato quasi senza voce. Il mio. Mi riconosce sempre. Non mi stupisce che sia sveglio; sono poche le ore in cui riesce a rilassarsi abbastanza da prendere sonno. Sposto la sedia appoggiata alla parete vicino al letto e accendo una candela nuova con il moncherino di quella vecchia. Adesso il viso scavato di mio padre si vede benissimo. La pelle bianca e grinzosa gli segna gli zigomi e gli angoli degli occhi, perennemente chiusi; ha le labbra secche e la pezza che dovrebbe usare per tenerle umide è appoggiata di traverso sul collo. La sposto sulle mie ginocchia mentre mi siedo e lo scopro leggermente, liberando dalla coperta il petto scheletrico. Quando ero piccola era così forte e grande; mi fa male vederlo così. «Melody» mormora e dopo aver posato la scodella sul comodino, lo aiuto a raddrizzare la schiena per mangiare. «Li hai trovati?» chiede, con la voce rotta per lo sforzo. Il cuore mi si spezza. Non avrebbero dovuto dirgli che sono andata nei boschi. «No, papà. Mi dispiace» lo vedo spegnersi e non posso fare nulla per consolarlo. Vorrei dirgli che ho trovato le tracce degli animali che si nutrono dei fiori che tanto vuole ma non è così. Non so nemmeno se esistano davvero. Sciolgo un cucchiaio raso di purea bianca nella minestra e imbocco mio padre finché non la finisce tutta. Lo faccio stendere di nuovo e resto seduta in silenzio accanto a lui finché il suo respiro non si fa calmo e rilassato. Era a quei fiori che pensava nel sussurrare il mio nome. Sono chiamati Blue Melody, per via del loro colore, ma al villaggio sono conosciuti come Melodia di lacrime, perché credono che siano in grado di curare qualsiasi malattia e che possano persino vincere la morte in cambio di alcune lacrime. Sono tutte stupidaggini e nessuno ha mai visto davvero un fiore di Blue Melody. Ma mio padre si aggrappa alla loro esistenza come un disperato e io non riesco a cancellare le sue speranze. Fino a qualche anno fa li cercavo, ma adesso ho smesso di farlo. Sono stanca di inseguire qualcosa che non esiste. Bagno la pezza nel catino di acqua accanto al letto e tampono per un po’ le labbra di mio padre. La malattia lo sta consumando sempre di più; giorno dopo giorno le sue condizioni peggiorano e nessuno è riuscito a capire quale sia la causa del suo male. Tutto ciò che possiamo fare è sciogliere quella purea bianca nel cibo e calmargli il dolore. Tutto quello che posso fare è stargli accanto, poco importa quanto questo mi strazi l’anima in ogni singolo istante.
Spero vi sia piaciuto e, se vi va, lasciatemi tutti i commenti e le critiche che vi ha ispirato 😉
Federica 💋
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