Buongiorno 😊
Questa settimana arrivo anche di sabato! Tutto per far parte della Storytelling Chronicles, la rubrica di scrittura creativa ideata da Lara di La Nicchia Letteraria e con il banner creato da Tania di My Crea Bookish Kingdom!
È da un paio di mesi che è in pausa ma per questo aprile torna – e io torno a scrivere – e lo fa a tema di serie tv!
Scopo di questo mese è infatti scrivere una storia con la stessa ambientazione, temporale e storica, dell'ultima serie tv che abbiamo guardato/stiamo guardando. Nel mio caso si tratta di Moon Knight perciò vi porto a Londra, ai giorni nostri, però lo faccio per riprendere due personaggio particolari, protagonisti di un racconto brevissimo intitolato La Lanterna.
Passeggiava sul marciapiede davanti il British Museum come se non avesse un solo pensiero al mondo, la sigaretta stretta tra le dita da cui ogni tanto prendeva un tiro e rilasciava una boccata di fumo bianca come la neve.
Splendeva il sole, fatto raro per la città. Si godette i raggi sul viso prima di spegnere il mozzicone contro un lampione e gettarlo nel cestino. Detestava chi li abbandonava a terra, rozzi e incivili mortali che non avevano ancora capito quale fosse la vera ragione per cui erano ancora lì, su quel pianeta blu tanto bello e maltrattato. Millenni prima, rei di aver sfruttato a morte il loro pianeta d’origine, avevano chiesto agli dei giunti a giudicare e punire di dare loro una seconda possibilità.
E gli dei, pomposi idioti megalomani, li avevano assecondati, convinti che avrebbero preso decisioni migliori se non avessero ricordato cos’era accaduto in origine, se avessero scordato la paura di essere schiacciati come formiche una volta giunti al capolinea. Millenni, e svariate calamità di ogni natura possibile, dopo, e lui si trovava davanti ancora una volta agli stessi, incredibili imbecilli che, davanti al tribunale dell’esistenza, si erano difesi facendo spallucce e dicendo: «Avevamo Yeberion a tre ioni luce, pronto per essere abitato».
Yeberion era diventato Marte e gli “ioni luce” anni luce, ma la questione di fondo era immutata.
Come non era cambiato il suo disgusto per l’incapacità di capire che dimostravano con costanza lungo l’arco evolutivo. Ancora una volta guardava quelle scimmie vestite in modi assurdi e sentiva la necessità fare piazza pulita di tutti loro. No… A essere onesti, non tutti gli facevano un tale schifo da azzerare l’umanità.
«Sei già arrivato a quando pensi che non tutta l’umanità sia da cancellare?»
Voltò la testa verso la giovane donna che gli si era materializzata accanto in un battito di ciglia. Il suo sorriso storto lo spinse a corrugare la fronte, incapace di decidere se fosse contento di vederla o no. Avevano condiviso tutte le esistenze possibili insieme e ancora non capiva se quell’angolo storto in cui si piegavano le sue labbra lo faceva arrabbiare o gli piaceva.
«Moyo» la salutò senza rispondere alla domanda.
«Io non ho nome» disse lei di rimando, canzonandolo con le stesse parole che le aveva rivolto al loro primo incontro, quando ancora era una ragazzina troppo curiosa e sveglia. «Anche se non è vero, ne hai a bizzeffe, come me.»
«A differenza tua, io non ne scelgo e me ne resto tranquillo in mezzo a…» Indicò la massa di gente che passava loro davanti senza vederli. «… Loro.»
«E che divertimento c’è?»
«Moyo…» la supplicò, consapevole che stavano per mettersi a discutere come l’ultima volta.
«No, adesso mi ascolti, Mor.»
Qualcosa gli si strinse al centro del petto, una via di mezzo tra un conato e un crampo piacevole, al sentirla pronunciare il nome che lei stessa gli aveva attribuito. Era successo poco dopo il loro incontro, perché si era stancata di chiamarlo “Ehi, tu”, e negli ultimi anni lo aveva usato sempre più spesso. Non che gli piacesse, ma era…
Scosse la testa tra sé mentre la sua compagna eterna tirava le mani sui fianchi e gli piazzava di fronte, l’espressione battagliera e tanto viva, proprio come il significato del suo nome.
«Passi tutto il tuo tempo chiuso in te stesso, a guardare il mondo e a vedere solo il peggio. Continui a ripetere che stanno sbagliando ancora, che non hanno imparato nulla e che alla fine arriveranno allo stesso esito dell’ultima volta.»
«Allora?»
«Allora fa’ qualcosa! Sei tra le entità più potenti che esistano, anche gli dei ti rispettano e temono, e tu invece ti comporti da vecchio brontolone senza speranza.»
«Non sono vecchio, né brontolone.» Ma lo disse con un mugugno che la fece sorridere ancor di più.
Incrociò le braccia al petto, il corpo retto dal lampione su cui gli poggiava la spalla e lo sguardo puntato sulle colonne erette a metà Ottocento.
Moyo gli avvolse le mani attorno al viso, la stretta calda sulla sua pelle sempre gelida, e lo obbligò ad abbassare il viso verso di lei. Erano occhi scuri e profondi, animati da una luce senza fine che gli fecero serrare la mascella.
«Cosa ti succede?»
«Niente» negò, secco e infastidito da tutto ciò che li circondava.
«Mor ci conosciamo da tanto tempo e lo capisco che qualcosa non va. O che è da mesi che te lo tieni per te.»
«Mi sono alzato con il piede sbagliato, Moyo.» Non voleva essere una buttata, solo una distrazione, ma lei sorrise lo stesso, prima di sollevare entrambe le sopracciglia per spronarlo a parlare. «Non chiedermelo, per favore.»
«Perché?»
«Perché è oggi.»
Lo sussurrò piano, un soffio gelido che sfiorò le guance di Moyo e le fece diventare rosse, ma cancellò in parte il suo sorriso.
«Oggi?»
«Sì.»
Lo sapevano da sempre, anche se solo lui ricordava ogni singola volta, ogni ciclo e ogni nome con cui le si era presentata nel corso della loro esistenza senza fine. Moyo, e chi era apparsa prima di lei, dimenticava e non aveva modo di sapere cosa era stato; spettava a lui spiegarlo e in qualche modo, per un qualche crudele gioco degli dei, quando accadeva sapeva esattamente cosa rappresentava la sua esistenza, chi erano l’uno per l’altra e come sarebbe proseguita la loro esistenza. Come si sarebbero separati.
«Oggi?» ripeté la domanda, quasi non volesse crederci, quasi avesse paura di aver sentito male la prima volta.
Annuì.
Era ingiusto, gli esseri umani avevano ottenuto una seconda possibilità e la stavano sprecando, mentre a loro era stato detto di non poter fare altro che avere un’esistenza eterna ma spezzata. Erano compagni eterni, ma destinati a ostacoli senza fini.
Era anche una bella giornata.
Moyo inspirò e cercò di trattenere le dita dal tremare, ma lui le percepì lo stesso e non seppe cosa fare. Con gli umani lo sapeva, con loro era facile, ma con Moyo… ogni singola cosa era sempre più difficile. La sola semplice, no, quella che sarebbe stata per lui più semplice e meravigliosa, era anche quella che temeva e odiava di più.
Poi, come se avesse realizzato solo in quel momento qualcosa di scontato, tirò indietro la testa e lo studiò con sospetto.
«Dov’è la lanterna?»
«L’ho dimenticata.»
«Mor…» protestò allontanandosi da lui.
Avrebbe voluto trattenerla e riportarla dov’era un istante prima. Non lo fece. Non avrebbe mai toccato Moyo per primo, mai avrebbe sollevato il sipario sull’ultimo atto di quella loro ennesima esistenza.
«Non la abbandoni mai! Mai! E proprio oggi succede?»
«È stato un caso.»
«Bugiardo!»
Sì, anche se la sua essenza profonda era la sola verità ineluttabile del creato.
«Può succedere a tutti, anche a me.»
«Davvero, Mor? Anche a te, puntuale e preciso e infallibile come sei?»
«Anche a me, Moyo.»
«E dovrei crederti?»
«Puoi fingere di farlo.»
Riuscì a farla sorridere, un cenno rapido, sfuggente eppure tanto vivido da torcergli lo stomaco.
«E come accadrà?»
«Come è sempre accaduto, Moyo, e come sarà per tutte le volte in cui ci ritroveremo.»
Fece un rapido cenno con il capo, prima di cancellare lo spazio che aveva messo tra loro. Non lo toccò di nuovo, ma si sollevò sulle punte dei piedi per portare gli occhi nei suoi.
«Con un bacio, dunque.» Il suo fiato caldo gli sfiorò le labbra. «Il dolce bacio della Morte.»
«A suggellare l’ennesima fine.»
«A suggellare ogni nuovo inizio.»
Poi Moyo si impossessò delle sue labbra e lo lasciò solo, svanita dalla sua esistenza ancor prima che avesse potuto stringerla tra le braccia.
Il giovane uomo si perse nell’assolata strada davanti al British Museum, tra umani che lo chiamavano con tanti nomi diversi e che tutti temevano allo stesso modo. Nessuno vide comparire tra le sue mani un bastone sulla cui cima ricurva oscillava una lanterna, una di quelle vecchie e arrugginite.
Attraverso la folla e in essa proseguì il proprio cammino.
Era solo.
Di nuovo.
Spero che la storia vi sia piaciuta e, se vi va, leggo volentieri le vostre impressioni nei commenti!
Federica 💋
Che meraviglia Federica, che splendido racconto. Curiosa come sempre, sono andata a sbirciare anche il raccontino su IG prima di approcciarmi a questa lettura. Ho fatto benissimo. Che bello scorcio hai creato, potente, un pugno e un sogno allo stesso tempo. Meraviglioso lo stile - come sempre - veloce, scorrevole, d'impatto; dialoghi pungenti e coinvolti. Davvero ben fatto ed emozionante. Grazie mille per queste bellissime sensazioni. Alla prossima 😃
Che bella sorpresa ritrovare l'accostamento alla Lanterna! Come sempre leggerti è un piacere grande si era sentita la tua mancanza in questa rubrica e sono contenta sei tornata alla grande con una storia carinissima che si legge tutta d'un fiato e che fa venire voglia di saperne di più