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Immagine del redattorefedecaglioni

Storytelling Chronicles #5

Buongiorno e buon martedì 😊

Questa settimana riesco a essere un po’ più presente, a iniziare da oggi, con il mio racconto per la Storytelling Chronicles, la rubrica di scrittura creativa creata da Lara de La nicchia letteraria e con la grafica di Tania di My CreaBookish Kingdom 😊 Il tema di questo mese è mare e anche se devo dire di aver avuto una storia abbastanza definita dall’inizio alla fine, ho impiegato un po’ per terminarla! Però ce l’ho fatta e stavolta vi porto nel mondo del kitesurf. Vi avviso che, essendo uno sport con termini specifici e un suo gergo, troverete degli asterischi su alcune parole, il cui significato è alla fine della storia.

Buona lettura!

Katy, campionessa mondiale di kitesurf, è reduce da un brutto incidente le cui conseguenze, anche dopo tre mesi, le impediscono di riprendere gli allenamenti. Sconsolata e convinta di dover rinunciare per sempre al suo amore per il mare, Katy scoprirà che forse non è poi tutto perduto.

Katy guardò il profilo impetuoso delle onde e sospirò. Pesantemente. Tre mesi prima, quello spettacolo avrebbe risvegliato in lei un senso di eccitazione così forte da spingerla a tuffarsi in acqua, incurante delle conseguenze e alla ricerca solo del momento perfetto, il secondo in cui il resto del mondo si sarebbe eclissato. Sarebbero rimaste solo lei, la tavola, l’ala sopra la sua testa e l’infinita distesa azzurra sotto di sé. Un nuovo sospiro eruppe dalle sue labbra imbronciate, mentre il borbottio del suo manager le rimbombava nelle orecchie. “Passerà. Vedrai, è solo lo stress.” Ma non era andata così. L’incidente di tre mesi prima, durante un DP*, aveva lasciato il segno e anche se all’asciutto riusciva a ignorare il fastidio, Katy sapeva che se avesse messo piede in acqua, allora il suo orecchio interno l’avrebbe tradita, mandando a gambe all’aria il suo equilibrio e ogni possibilità di restare attaccata alla tavola da kitesurf. Perché l’Errore, come aveva iniziato a chiamare la brutta caduta contro gli scogli che le aveva lasciato una commozione celebrale e il vestibolo dell’orecchio destro parzialmente danneggiato, non faceva sconti. Mai. E solo lei e il mare sapevano quante volte avesse tentato di cavalcare di nuovo le onde come sapeva fare da una vita. Come la campionessa che non sarebbe mai più stata. Lo scorso anno aveva vinto il titolo, il World Tour* era stato solo suo sin dalle prime gare, e adesso quel traguardo le sembrava irrealizzabile. Non sarebbe mai più potuta salire su una tavola senza avvertire il senso di spaesamento che l’aveva scaraventata in acqua e poi più giù, tra le onde scure e verso le rocce che non aveva nemmeno notato. I chirurghi avevano sistemato tutto ciò che non andava, ma lei continuava a perdere l’equilibrio ogni volta che si alzava in aria. Vorticava e poi finiva per sprofondare tra le onde, incapace di capire dove fosse o da che parte dovesse andare per risalire. Sospirò per l’ennesima volta. Quella mattina sarebbe stata perfetta per l’allenamento, con il vento che soffiava verso la spiaggia e creava il movimento perfetto sul pelo dell’acqua. E come lo aveva notato lei, non si sorprese di vedere altri cinque o sei kiter* che si divertivano a vorticare in aria e tra le onde, le loro grida esaltate che le giungevano forti e chiare. Katy fu rosa dall’invidia, desiderando con tutta se stessa di essere al loro posto, di immergersi nella sensazione di libertà che le dava solcare il mare a tutta velocità e poi osservarlo dall’alto, certa che quello fosse il suo vero mondo. Il mare, così come la tavola e l’aquilone, era parte di lei. E per colpa dello stupido Errore le era stato portato via tutto. Si alzò, pulendo la sabbia dagli shorts e imponendosi di non cedere allo sconforto. Si era fermata sulla spiaggia fin troppo e anche se non era stata sua intenzione perdersi in ricordi così dolorosi, dopo aver visto quella compagnia di amici le era stato impossibile andarsene. Perché a lei non era concesso divertirsi così? Cos’aveva il suo orecchio che le impediva di tornare sulla sua tavola? A un tratto, gli occhi di Katy scorsero un ragazzo avvicinarsi, la parte superiore della muta che pendeva attorno alla vita e un asciugamano avvolto attorno al collo. Lo aveva visto eseguire diversi trick nella mezzora precedente, intrigata dal suo stile fluido benché grezzo, e quando le fu accanto notò la forza che il suo fisico allenato trasmetteva, la stessa che aveva percepito osservandolo in acqua. «Hey! Ti piace il kitesurf?» le mostrò un sorriso cordiale che gli illuminò gli occhi scuri. «Se ti va di provare, abbiamo tavole e ali in più.» «Grazie, ma non posso» sollevò gli occhiali a specchio sopra la testa e ricambiò il sorriso. «Non farei onore alla vostra attrezzatura.» «Aspetta! Ma tu sei Katy O’Shea!?» asciugò il palmo sul telo e le porse la mano. Le dita tremavano dall’emozione e cercò di scrollarle per fermarle. «Merda! Cioè… Sono Jason. È un onore conoscerti.» Katy rise per il suo imbarazzo, ma accettò la stretta. «Piacere mio» con un cenno del capo gli indicò tavola e ala, abbandonate alle sue spalle insieme al gruppo di amici. «Lo pratichi da tanto?» «Ci sono letteralmente nato. Storia buffa, sai? Mia madre non è riuscita ad arrivare in ospedale e la sola superficie dritta nell’auto dei miei era la tavola da kite di…» Jason frenò di botto quella tirata, la mascella serrata così stretta da fargli quasi male. Un rossore incredibile gli segnò guance e naso. «Ma a te questo non interessa. Già… non dovrei dire certe cose a una ragazza… a te! Cioè, non dovrei parlarne con nessuno, non al primo incontro e…» «Respira, Jason» Katy sorrise, divertita dal suo blaterare a raffica. «Mia sorella fa esattamente come te, quando è in ansia. Respira.» Lui seguì il consiglio, volendo sprofondare per l’imbarazzo. «Già, scusa.» «Quindi?» «Quindi? Sì! Sì, faccio kitesurf da diciassette anni» i suoi occhi d’onice si fissarono su Katy. Lei percepì l’esatto momento in cui i suoi pensieri virarono verso l’Errore. Seppe cosa avrebbe detto un secondo prima che accadesse. «Mi dispiace per il tuo incidente. Deve essere difficile.» «Cose che capitano» minimizzò, benché dentro le bruciasse da morire. «Avrei dovuto prestare più attenzione.» «Il team avrebbe dovuto annullare il DP, come tu avevi suggerito» Jason incrociò le braccia al petto e per la prima volta Katy si sentì capita. «Il video di Delany è stato cancellato, ma non tutti hanno finto di non averlo visto.» Delany. Il suo compagno di squadra ossessionato dai social, che aveva postato il video di quella mattina, per poi cancellarlo e negarne l’esistenza. Il video in cui si sentiva con chiarezza la voce di Katy proporre di annullare l’allenamento e in cui, tre minuti dopo, era stato immortalato il suo incidente. «Sei tra i pochi che lo ammetterebbe» in quei mesi nessuno, tra i suoi amici, le aveva dato ragione. «Be’, io non sono nemmeno uno stronzo» al suo sguardo stupito, lui alzò le spalle. «Il team manager ha negato un sacco di cose sul tuo incidente. Compreso il vero motivo della tua caduta.» Katy mantenne il sorriso, tuttavia sentì di dover fare un passo indietro dal terreno delle confidenze. Aveva firmato un accordo di riservatezza e doveva mantenere la versione ufficiale. «Un brain fart* capita a chiunque.» «Certo» le labbra di Jason si tirarono in un cenno amaro. «Immagino tu abbia delle condizioni da rispettare, ma ho visto il video. Sei caduta per un dookie dive*, non perché hai dimenticato la figura da eseguire.» «Accidenti, che sicurezza!» lo riprese Katy, l’ansia che le ronzava nelle orecchie e minacciava il suo equilibrio. «Sembra che tu ne sappia più di me. E dimmi: cosa ti rende così certo che sia caduta per aver perso potenza?» Non avrebbe dovuto metterlo alla prova. Sentiva che quel ragazzo conosceva la verità, e ne era sicuro al cento per cento. Ma dopo mesi passati a negare l’evidenza, a sentirsi dire che forse era lei ad aver sbagliato manovra ed essere finita contro gli scogli per dei calcoli imprecisi, quella mattina Katy ebbe bisogno di ascoltare la verità. Basta negazioni e sotterfugi. «Produco tavole e ali da kite e windsurf per vivere. Sono attento a tutti i nuovi prodotti del mercato e so che, durante quel DP, avreste provato della merce ancora non in commercio» il suo viso si fece serio. «Il suo produttore se n’era vantato un paio di sere prima, a un convegno, quindi, sapendo che anche Delany ci sarebbe stato, ho seguito la diretta sul suo profilo. A occhio, le ali sembravano piccole per il vento che tirava.» «Era forte, sì» era arrivato a 30 nodi, troppo per la sua piccola C-kite*, perfetta per il freestyle ma non per tenere le raffiche. «Offshore*.» Jason annuì. «Poi è arrivato il video. Si vede che cerchi di fare un trick, e il movimento trae in inganno. Sembra quasi un tuo errore, ma è evidente che, nel momento in cui ti alzi in aria, una raffica spinge l’ala oltre il punto di non ritorno. Da lì a cadere passa un secondo.» Meno, in realtà, ma a lei era sembrato eternamente più lungo. Poi c’era stato lo schianto di schiena sul pelo dell’acqua e le onde che la trascinavano sempre più a fondo, verso gli scogli e ai lunghi mesi di inattività. «Ho cercato di ruotare l’aquilone, così da assorbire la spinta» nelle mani sentì ancora la fatica fatta quel giorno, quasi sperasse di cambiarne l’esito. «Ma si è trasformato nel mio kitemare*.» «Ho letto dell’operazione. L’equilibrio come va?» «Domanda di riserva?» si scambiarono un sorriso triste, poi Katy guardò le onde spumose e sospirò. «All’asciutto va bene. È quasi perfetto, in realtà. Ma se entro in acqua…» «Balleresti meno dentro una centrifuga» annuì, incrociando le braccia al petto. «Ti capisco.» «Brutta esperienza?» Jason si sporse verso di lei, facendole notare per la prima volta la differenza di altezza tra loro. Non le era sembrato così alto, eppure Katy si accorse che in realtà lo era e un po’ ne ebbe soggezione. Lei non era un tipo da complessi, ma i ragazzi di una certa statura la mettevano in agitazione; la facevano sentire “piccola”, nonostante il suo metro e settanta, scarso. E Jason non fece eccezione. «Come?» si ritrovò a chiedere, schiarendosi la voce per mascherare l’imbarazzo. Non aveva sentito una parola di ciò che le aveva appena detto, troppo impegnata a percepire la sua vicinanza per prestargli attenzione. «La vedi?» ruotò la testa e, piegando l’angolo in alto dell’orecchio, le indicò una sottile linea biancastra che si perdeva in mezzo ai capelli castani. Poi si raddrizzò e le rivolse un’occhiata divertita. «Avevo quindici anni, durante uno dei miei primi DP da solo. Dopo due anni di pratica, volevo fare il fenomeno, partendo dalla spiaggia e arrivando in mare. Ma ho calcolato male la forza del vento e invece di essere magicamente trasportato sull’acqua, sono stato dolorosamente trascinato per venti metri sulla riva.» «Un facial* in piena regola.» «Puro e semplice. Risultato? Una piccola commozione celebrale e orecchio interno sinistro danneggiato» Jason guardò verso il bagnasciuga e agitò un braccio in risposta a un kiter in volo sopra l’acqua. «Operato e guarito senza troppa fatica, ma se solo provavo a eseguire un salto, cadevo in acqua come un idiota.» «Impossibile!» l’incredulità di Katy trapelò da quell’unica parola. Non poteva essere vero. Lo aveva visto in acqua con i suoi occhi, gli aveva visto fare dei trick anche complessi e per lei era inverosimile che avesse sofferto dei suoi stessi problemi e li avesse superati. Perché a lei sembrava impossibile riuscirci. «Giuro» esclamò serio, mettendo la mano sul petto all’altezza del cuore. «Ho impiegato sette mesi per recuperare e rimettermi in acqua. Non sono diventato un asso, ma alla fine ho ripreso a praticare il mio sport preferito e tanto mi basta.»

«Come?» Katy sentì prudere le mani dal desiderio di tenere stretta la barra dall’ala e tornare quella di un tempo. «Come hai fatto?» Jason le fece cenno di aspettare e come un razzo corse verso il suo gruppo di amici. Katy lo vide rovistare in uno dei borsoni abbandonati sulla sabbia immacolata, mentre le sue labbra si muovevano a raffica per spiegare chissà cosa. In meno di un paio di minuti, però, fu di nuovo da lei e tutto sorridente le porse un biglietto da visita. Davanti, sopra l’immagine di un’onda, Katy trovò il suo nome completo, Jason Lewis; dietro, invece, un numero di telefono, una e-mail e un sito web di qualcosa chiamato “The Waver”. «Cos’è?» chiese, rigirandoselo tra le dita. «Dopo il mio incidente, ho passato mesi senza riuscire a capire perché perdessi l’equilibrio sulla tavola. Ero guarito, eppure se provavo a sollevarmi dal filo dell’acqua vorticavo peggio di una trottola» Jason le indicò uno dei ragazzi alle prese con le evoluzioni, proprio nel momento in cui si sollevò a mezz’aria. «Non so tu, ma io non capivo più da che parte andare durante lo stacco.» «Sì. E il peggio arriva se devo voltarmi.» Lui annuì. «È una forma di disequilibrio, insolita ma abbastanza frequente in chi ha subito un trauma cranico. Dopo una lesione, in genere il cervello resetta da solo il coordinamento con vista e orecchie. A volte, però, non riesce a completarlo e alcuni movimenti lo mandano in tilt. Quando l’ho capito, con mio padre ho costruito una macchina che, tramite un sistema di pompe e molle, simula il movimento della tavola in mare.» «The Waver?» «Esatto. Simula un migliaio di situazioni diverse, da fermo fino ai trick più complessi per vento, altezza e inclinazione della tavola. Aiuta a rieducare l’equilibrio nell’affrontare i movimenti specifici del kitesurf.» Katy guardò con interesse il piccolo biglietto tra le sue dita. «Perché non ne ho mai sentito parlare?» «Perché sono pressoché nuovo nel settore. Produco attrezzatura solo da qualche anno e per lo più per principianti. O per chi ha esigenze speciali. Poi c’è Waver, ma non ci sono molti kiter che ne hanno bisogno» dal suo gruppo di amici si levò il suo nome e Jason si voltò, facendo loro cenno che sarebbe tornato subito. «Be’, adesso è meglio che vada. Ti ho subissato abbastanza di chiacchiere.» Katy si sentì confusa. In quei tre mesi, sponsor e privati le avevano proposto diverse tecniche, prodotti e collaborazioni per risolvere il suo problema. Tutti inutili. Jason, invece, che aveva forse la soluzione al suo problema, se ne andava senza provare a venderle nulla. «Sul serio?» Lui si fermò, a metà strada tra Katy e i suoi amici, girò la testa e le sorrise da sopra una spalla. Dovette aver capito a cosa alludesse, perché i suoi occhi di onice brillarono divertiti. «Hai il mio numero. Sta a te decidere se usarlo o no.» E la lasciò sola. Katy sorrise tra sé, riportando gli occhi sulle onde e sul gruppo di kiter ancora in acqua. Il mare e il kitesurf erano stati la sua vita, un’espressione della sua anima cui aveva temuto di dover rinunciare per sempre dopo l’Errore. Guardò la spuma bianca percorsa da quelle ali colorate e sospirò, di sollievo quella volta. Forse, per una qualche incredibile fortuna, anche lei sarebbe tornata in acqua. Magari non più brava come un tempo, ma non era quello a importarle. Voleva sentirsi di nuovo parte di quel regno fatto d’acqua e aria, libera come solo tra le onde poteva esserlo. Per questo recuperò il telefono dalla tasca degli shorts, compose il numero che aveva davanti agli occhi e attese fin quando la voce di Jason rispose dall’altra parte. «Jason Lewis? Sono Katy O’Shea. Ho saputo da un amico che tu potresti aiutarmi a risolvere un problema.»

* DP (dawn patrol): allenamento tenuto di mattina presto. * GKA kitesurf World Tour: campionato mondiale di kitesurf organizzato dalla Global Kiteboarding Association. Strutturato su più eventi nel corso dell’anno, il World Tour attribuisce il titolo di campione mondiale di kitesurf a chi, nel corso delle gare organizzate, ottiene il punteggio più alto nella somma dei voti nelle categorie tecniche, di freestyle e miste. * Kiter: chiunque pratichi kitesurf. * Brain fart: il dimenticare il trick da eseguire a mezz’aria e quindi schiantarsi/atterrare sull’acqua. * Dookie dive: perdita di potenza durante la permanenza in aria, con conseguente caduta in acqua. * C-kite: le prime ali utilizzate nel kitesurf e che hanno una forma a C. Oggi sono utilizzati quasi esclusivamente dai kiters più esperti e da coloro che fanno freestyle, perché meno manovrabili delle ali di nuova generazione. * Offshore: vento che soffia perpendicolarmente dalla spiaggia verso il mare. Con questo tipo di vento occorre sempre avere dei mezzi di recupero pronti al soccorso. * Kitemare: un incidente o un problema pericolosi durante il kitesurfing. I Kitemare possono essere mortali. * Facial: totale perdita di controllo dell’ala aperta mentre si è ancora sulla spiaggia, con il rider trascinato dal vento su rocce e sabbia, di faccia.

Ed eccoci alla fine! Spero che la storia vi sia piaciuta! Ho fatto un po’ di ricerche sul mondo del kite e devo dire che me ne sono innamorata! Spero possa uscirne qualcosa di bello 😊 Se vi va, sarei curiosa di leggere i vostri commenti e le impressioni!

A presto Federica 💋

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