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Storytelling Chronicles – Those Nights

Immagine del redattore: fedecaglionifedecaglioni

Buongiorno!


Anche questo mese partecipo alla rubrica di scrittura creativa Storytelling Chronicles creato da Lara, La Nicchia Letteraria, e lo faccio con il tema di febbraio… Lo so, lo so, siamo a marzo ma ho avuto bisogno di qualche giorno in più per terminare il racconto.

A differenza di gennaio, in cui vi ho detto che avrei tenuto per tutto l'anno lo stesso protagonista, questa volta abbiamo fatto un'eccezione per capire meglio come progredire con le storie lunghe e quindi vi propongo due protagonisti alternativi e una storia legata ai seguenti prompt:

1. All'interno del racconto va inserito un amore – solido, appena finito, in procinto di iniziare, decidete voi in piena libertà. Può essere il fulcro della storia o qualcosa in semplice background;

2. Tra gli elementi presenti nello scritto, dovranno apparire: un pezzo di cioccolato, una coda – di animale o quella relativa al traffico, scegliete in autonomia –, un anello e un cerchietto;

3. Citate una canzone e usatela come colonna sonora del testo, magari utilizzando anche le sue lyrics;

4. Qualcuno ha in mano un bouquet, ma in quel mazzo non c'è alcun fiore: date totale sfogo alla vostra fantasia.


E Those Nights è ciò che ha partorito la mia mente! Buona lettura 😘

Alec

Mi trascina su per le scale che portano al suo appartamento. Labbra dolci a strapparmi il respiro dalle mie, le dita arpionate attorno alla maglietta per impedirmi di staccarmi da lei. Come se fossi tanto pazzo da provarci.

«Il tuo nome» esalo contro la sua pelle, un rantolo roco a incrinarmi la voce. «Dimmelo.»

Rabbrividisce al suono di comando, iridi verdi grandi come monete e annebbiate dall’eccitazione a squadrarmi mentre riprende fiato.

«No.»

Sogghigno e mi premo su di lei, la intrappolo contro il muro del pianerottolo e conquisto di nuovo la sua bocca, affamato del suo sapore quanto lei lo è del mio. Annego in lei, le nostre mani già sotto vestiti che non vediamo l’ora di far sparire.

«Chiavi, Zucchero. Altrimenti finisco per scoparti qui fuori.»

«Non che abbia dei vicini di cui preoccuparmi, ma non sono una fan dei rapporti in pubblico, né delle sveltine contro i muri.» Mi spinge e la libero quanto basta per permetterle di avvicinarsi al portoncino d’ingresso, una mano nella borsa a tracolla, l’altra con le dita arpionate alla mia t-shirt. «Non guardare in giro.»

L’avvertimento precede di un niente l’apertura della soglia, ma non distolgo lo sguardo da lei neppure per un dannato secondo, troppo concentrato sulla creatura da sogno incontrata stasera al club. I miei occhi l’hanno trovata non appena ho messo piede nel privé, una sirena la cui canzone silenziosa mi ha attratto senza possibilità di sfuggirle.

Ondeggiava i fianchi sulla pista a un ritmo che solo lei sentiva e che è stato la mia fine.

Lo è anche adesso, i passi sinuosi a condurla al centro di un salotto vissuto, i mobili registrati con un ultimo briciolo di lucidità, solo per realizzare su quante superfici mi piacerebbe affondare dentro di lei.

Un passo alla volta.

«Letto o divano?» Lo domanda scalciando via le scarpe, tacchi alti che le fanno perdere i centimetri necessari a guardarmi occhi negli occhi.

«Letto. E Zucchero» il soprannome scivola tra noi, una promessa roca delle mie intenzioni, «fatti inseguire. Mi piace l’adrenalina.»

Un sorrisetto malizioso le curva le labbra gonfie per le mie attenzioni, un respiro profondo ad accompagnare la discesa delle dita lungo il busto, sul seno e i fianchi. Afferra il bordo della camicetta che indossa e la sfila in un movimento unico, provocante e carico di lussuria.

Pelle candida, due coppe senza spalline a sostenerle e scoprirle i seni perfetti. È un’incantatrice, con una catenella attorno al collo e lunga abbastanza da scivolarle e riposare nella valle tra i globi sodi, la forma a goccia uno spettacolo indimenticabile.

«È un anello?» Indico il ninnolo contro il suo sterno, la piccola gemma in cima puntata verso il basso, il segnavia verso la destinazione che spero di raggiungere presto.

«Non sono affari tuoi.» Il sorrisetto non vacilla, neppure quando le dita arrivano al bottone dei jeans. «Pronto a…»

«Tienili» la interrompo, e serro le braccia al petto per impedirmi di toccarla. Non ancora. «Te li leverò io con estremo piacere.»

Allontana le dita e scatta, la sua schiena nuda una distesa che mi attrae e incatena a lei. Le sono dietro in un lampo, passi leggeri a divorare la distanza tra noi e ad accrescere l’adrenalina che le ho detto piacermi. È a un nulla da una porta semi aperta, la camera in penombra che la accoglie nell’istante in cui avvolgo le mani nei suoi fianchi.

La tiro a me, la schiena contro il mio petto per intrappolarla. Chiudo la porta con un calcio e restiamo avvolti in ombre che profumano di lussuria e bisogno. Ha i respiri concitati, il cuore un tamburo contro il mio palmo.

«Ancora sicura di non voler sapere il mio nome, Zucchero?»

«Sicura» ansima, per poi agitarmi il culo contro l’inguine. «Hai intenzione di continuare a parlare?»

«Come se la mia lingua ti infastidisse» le sussurro contro l’orecchio. «Entro domattina non sognerai nient’altro che me. Non ripenserai alla solitudine che ci ha fatti incontrare, no. Di stanotte ricorderai solo la sensazione di avermi dentro di te.»

Finiamo sul suo letto in un intrico di braccia e gambe e vestiti fatti svanire pochi istanti dopo. Un gemito incoerente le sfugge nell’avvertire la mia bocca sul centro del suo piacere, l’estasi a rapirla in fretta quando mi concentro su di lei e sul farle raggiungere il paradiso per prima.

Vi entrerà altre volte, stanotte, e io con lei, mentre entrambi inseguiamo una beatitudine temporanea.

Eravamo anime senza alcun amico alla ricerca di qualcuno con il quale andarcene dal locale, per fingere di poterci aggrappare a quella persona e sperare di non essere di nuovo soli quando sorgerà un altro giorno.

Lo saremo, ma stanotte è una di quelle in cui possiamo illuderci che ci sarà un futuro diverso anche per noi.


*


Zoe

Osservo il mio riflesso nello specchio a figura intera della camera di quand’ero adolescente e sistemo la collana con l’anello dentro la scollatura del vestito da giorno. La catenella resta visibile ma me ne frego di ciò che dirà mia madre quando mi vedrà. È già scontenta di me per decine di ragioni diverse, questa sarà soltanto l’ultima di una lista di cui non mi importa nulla.

Inspiro a lungo e butto fuori l’aria di colpo, la frangia spinta in alto che mi ricade sugli occhi subito dopo. Il cerchietto di stoffa trattiene tutti gli altri capelli, tuttavia mi piace l’effetto che fa la frangia scomposta sulla fronte, come anche il piccolo fiocco che si intravede dietro l’orecchio destro. Sono dettagli, ma sufficienti a macchiare la perfezione pretesa dalla coppia che mi ha generata e trasformata nella perfetta figlia dell’élite americana.

Se solo sapessero quanto ciò mi fa sentire vuota.

Se solo sapessero come mi sono sentita ribelle, potente e bellissima solo un mese fa.

Mia madre inorridirebbe se venisse a sapere di come ho rimorchiato uno sconosciuto in un club, per poi portarlo a casa con me e lasciarlo usare il mio corpo come se gli fosse appartenuto per un qualche diritto ancestrale o primitivo.

Per una volta non mi sono chiesta come poter riempire l’insoddisfazione nel mio cuore, il silenzio in cui annego a volte. Avevo lui, il suo corpo solido, a cui aggrapparmi e al quale affidare la speranza di veder finire i giorni bui.

Ci è riuscito, per una notte.

«Una che non si ripeterà» ricordo a me stessa, un’occhiata di monito al mio riflesso. «È andato e nemmeno conosci il suo nome.»

Tuttavia, ricordo alla perfezione il peso del suo corpo sul mio, nel mio, la potenza rimasta viva nei muscoli intorpiditi per i due giorni successivi. Aveva ragione, ho dimenticato tutto tranne lui e le sensazioni che mi ha fatto provare.

Mi riscuoto con un brivido.

È passato un mese. Dovrei essermi ripresa a quest’ora, non fingere che non sia trascorso neanche un secondo da quando l’ho sentito uscire dal mio appartamento. Senza salutarmi, o controllare se fossi sveglia.

Gli occhi mi scivolano sulla porta alle mie spalle attraverso lo specchio, la soglia occupata dalla governante.

«Sì, Mariah?»

«Sua madre la manda a chiamare, signorina. Gli ospiti sono arrivati e vi attendono nel salottino azzurro.»

«Intendi il mio fidanzato e i suoi genitori.» Lascio trasparire l’insofferenza per un uomo scelto dai miei e che non ho mai incontrato. «Ti sembro una futura sposa combinata adatta alle aspettative di uno sconosciuto?»

«Da quanto ho visto, Mr. e Mrs. Lambert erano soli. Il figlio, se è qui, non è arrivato con loro.» Mi rivolge un cenno di solidarietà. «A ogni modo, siete splendida. Come in ogni altra circostanza.»

«Grazie, Mariah.» La raggiungo sulla soglia, la mano a stringere la sua per un istante brevissimo. «Più tardi potrei aver bisogno della cucina.»

Sorride e conferma con un semplice movimento del capo. «La troverete aperta e pronta per voi, signorina.»

Mi allontano da camera mia con un leggero sollievo a sostenere i miei passi. So di poter contare sul personale di servizio per trovare un angolo di pace nella dimora dei miei genitori ed è al pensiero di poterne usufruire più tardi che raggiungo il salottino senza cedere al desiderio di fuggire lontano da qui.

All’interno mia madre già ottempera ai suoi doveri di padrona di casa, il tono affabile mentre riempie di convenevoli chiunque le stia seduta di fronte. No, accanto, come scopro nel raggiungere lei e la donna all’incirca della stessa età, i capelli castani raccolti in una crocchia semplice e morbida.

«Oh, Zoe. Eccoti, finalmente» sottolinea, scontenta del mio non essere stata qui prima che fosse richiesta la mia effettiva presenza.

«Mamma.» Le bacio entrambe le guance prima di rivolgere un sorriso all’altra donna. «Mrs. Lambert, è un piacere incontrarla.»

«Per favore, chiamami Magda. Le nostre famiglie sono amiche da sempre, presto si uniranno.» Gli occhi trasmettono un calore materno a cui non sono abituata. «Forse non lo ricorderai, in fondo eri piccola quando ci siamo trasferiti a Los Angeles, ma ci siamo già incontrate. È stato alla festa del tuo sesto compleanno.»

«Davvero?» Trattengo a stento l’impulso di portare le mani al collo e stringere la catenella tra le dita. «Mi dispiace non ricordarlo.»

«Non angustiarti. Era una festa immensa, di certo faresti meglio a rammentarne la torta e i regali.»

Annuisco, la mente invasa dai ricordi dell’unico regalo davvero importante ricevuto in quell’occasione. Il suo peso contro lo sterno mi mantiene stabile, benché non mi sembri affatto di riuscire a restare in equilibrio.

«Papà e Mr. Lambert?» indago, la domanda a mascherare quella che avrei voluto porre davvero.

«Nello studio.» Mia madre è lapidaria nel chiudere il discorso, l’attenzione dirottata sulla porta, dove un paio di cameriere seguono Mariah per servire tè freddo e un piccolo spuntino. «Tuo figlio si unirà a noi, Magda?»

«Avrebbe già dovuto essere qui, in verità. Aveva alcuni impegni di lavoro, ma mi ha assicurato che ci sarebbe stato. Di sicuro, si unirà a noi per cena.»

Rilasso le spalle e la schiena, sollevata di non dover ancora affrontare il mio futuro marito. Rimando di poco l’inevitabile, ma non posso fare a meno di gioirne.

«Allora, Zoe» mi interpella la nostra ospite con un sorriso caloroso, «tua madre mi ha raccontato qualcosa di te, ma sono curiosa di sapere se sei meravigliosa come ti ha descritta.»

Sarebbe una novità, ma scaccio lo scetticismo dai miei pensieri. «Lo spero. Non vorrei mai deluderla.» Non più di quanto già non faccia… «Non vorrei sembrare presuntuosa. Cerco solo di dare il meglio, attraverso i doni e le qualità con cui sono nata. E che l’educazione mi ha aiutato a coltivare.»

Doni e qualità che, in alcuni casi, i miei mi avrebbero estirpato, se avessi permesso loro di riuscirci.

«Mi è giunta voce che ai fornelli sai fare miracoli» prosegue, le dita strette attorno alla tazza offertale da mia madre. «In particolare, so che i tuoi dolci sono migliori di quelli serviti nei ristoranti stellati.»

«Credo sia esagerato» interviene la donna che mi ha partorita. «Suo padre tende a non essere obiettivo quando si tratta di giudicare il cibo.»

«Su, Celeste, cosa vi è di male?» Magda sorride. «Io vorrei essere brava abbastanza da non bruciare tutto ciò che appoggio sul fornello. Fortuna che ho una cuoca eccezionale, altrimenti Robert e io saremmo già morti di fame chissà quante volte.»

«Nessun male, a patto che resti una passione. Gli Ashworth non si abbassano a eseguire lavori di servizio.»

Già, peccato che i soldi di famiglia arrivino proprio da una catena dei ristoranti aperta dal mio trisnonno e con un fatturato di diversi milioni l'anno. Le ultime due generazioni non hanno più messo piede in una cucina, ma da lì arriviamo e, per quanto ne dica mia madre, preparare un piatto e più di servire qualcosa. È un atto d’amore.

«Perciò, cosa fai nella vita, se la cucina è solo una passione?» Un sorriso accennato le scalda l’espressione. «O hai trovato modo di combinare passione e lavoro?»

«Purtroppo no» mento, perché sì, l’ho fatto, invece. «Ogni tanto preparo qualcosa per i miei genitori, nulla di più di semplici esperimenti.»

«Peccato, ogni talento andrebbe sempre sfruttato al massimo. È ciò che dico sempre anche a mio figlio, A…» Un vociare leggero fuori dalla porta la interrompe, lo sguardo dirottato sulla soglia quando questa si apre e lascia entrare il più grande che di fragole che abbia mai visto. «Ecco, si parla del diavolo e spuntano le corna.»

Il divertimento si colora di dolcezza, gli occhi illuminati d’affetto nel posarsi sull'uomo che trattiene in una mano la creazione di frutta rossa e invitante. Oltre a essere grande, il bouquet è anche uno dei più belli che abbia mai visto. Al primo sguardo, credo lo abbiano realizzato con due o tre chili di fragole. Impressionante.

«Alexander! Finalmente sei arrivato.»

«Perdonatemi.» Un brivido mi ricopre le braccia nude nel sentire la sua voce. Inspiro con forza, il cuore impazzito quanto i pensieri. «Per ritirare questo bouquet, ho finito per restare imbottigliato nel traffico. Mai vista una coda del genere.»

Mia madre e la sua replicano qualcosa, tuttavia non le sento, occupata come sono a mettere a fuoco il figlio dei Lambert, dalla mano che regge il bouquet senza sforzo, al fisico solido e slanciato, coperto da un abito su misura che ne mette in evidenza le spalle e la vita, due punti a cui devo sforzarmi di non ripensare.

Perché un mese fa li ho stretti tra le dita, vi ho affondato i polpastrelli.

Trattengo a stento un fremito, la testa raddrizzata di scatto per incrociare un paio di occhi nocciola carichi di uno stupore che si trasforma presto in malizia e lussuria.

«Zoe, immagino.»

Già. E lui è la mia avventura di una notte.


*


Alec

Zoe Ashworth.

La fidanzata scelta dai miei genitori e la donna che mi tormenta i pensieri da settimane.

Non sono riuscito a scacciarla, né ad allontanare l’idea che quella notte abbia cambiato le regole della mia esistenza.

Me ne sono andato da casa sua senza guardarmi indietro, eppure la certezza che non si sia davvero trattato di un’avventura di una notte è cresciuta con lentezza fino a divorarmi e a lasciarmi famelico davanti a lei.

Davanti alle nostre madri.

Mi schiarisco la voce e avanzo fino a trovarmi tra i divani su cui sono sedute tutte e tre. È su di lei che tengo lo sguardo, il bouquet tra noi come dono. «Questo è per te. Ho saputo che le fragole sono le tue preferite.» 

Un rossore invitante le colora le guance, simile alla frutta in questione. Una fame mai davvero assopita mi risveglia il sangue e devo trattenerla per impedirmi di fare qualcosa di stupido, come spogliarla con gli occhi e a parole.

Non ancora.

«Grazie» replica in un ansito, rapida a mettersi in piedi. «Credo sia il caso di portarle in cucina. Mariah, forse puoi…»

Fa cenno a una donna rimasta in disparte dalla parte opposta del salotto, che subito si avvicina e attende in silenzio che le dia il bouquet.

«Lo porto io» la avviso, invece di lasciarlo a lei. «È pesante.»

«Non sarà un problema, non per Mariah.» La padrona di casa insiste, ma non ho intenzione di assecondarla. «Così noi quattro avremo modo di chiacchierare ancora un po’. Zoe neppure ricordava l'ultima volta che siete stati qui.»

«Mamma…» protesta l’interessata e subito dopo incontra il mio sguardo nonostante l’imbarazzo. «Non credo che nemmeno Alexander se lo ricordi. Era la festa per il mio sesto compleanno.»

Ho la tentazione di correggerla e chiederle di non usare il mio nome completo, ma un flash di molti anni fa mi attraversa quando finisce di parlare, un episodio in particolare a rinfrescarmi la memoria. «Ricordo qualcosa della festa, tuttavia non credevo fosse qui.»

«Oh, Alexander. Puoi averlo perso qui l’anello di famiglia?»

La domanda di mia mamma mi porta a scuotere subito la testa, nonostante gli occhi mi scivolino lungo il collo di Zoe per un solo istante.

«Hai perso un anello?» si intromette Mrs. Ashworth. «Qui?»

«Non credo sia accaduto qui» svio, lo sguardo ancor più attratto dallo scollo in cui si intravede la catenella ora che la pelle chiaro acquista un tenue rossore. «Ma sì, prima che ci trasferissimo in California, ho perso l’anello di mia nonna, lo stesso che avrei dovuto dare proprio a Zoe.»

Ed è lei che mi inchioda con un’occhiata dubbiosa. Perché ho appena mentito a entrambe.

So esattamente che fine ha fatto quell’anello, soltanto non immaginavo che la festeggiata triste a cui l’ho regalato fosse la stessa bambina con la quale i miei avevano appena deciso di farmi sposare in futuro.

Una bambina che adesso è diventata una donna decisamente irresistibile.

Una che ricorda bene come sono andate le cose quel pomeriggio.

«Un vero peccato» si lamenta mamma. «Ma immagino che così potrei sceglierne uno che piaccia a Zoe.»

«Sempre che voglia sempre sposarmi dopo aver scoperto del mio passato da sbadato.»

«Assolutamente» anticipa Mrs. Ashworth, che di sicuro non ha colto la mia ironia. «Diglielo anche tu, Zoe.»

«Certo» taglia corto in fretta, l’indice puntato sul bouquet. «Meglio portarle in cucina. Più restano qui, più potrebbero guastarsi.»

«Dopo di te, Zoe.» La invito a farmi strada, per poi rivolgere un veloce cenno del capo a entrambe le nostre madri. «Torniamo il prima possibile.»

Intendo sfruttare ogni istante per capire come sia possibile esserci ritrovati in questo modo. Mi prenderò tutto il tempo per scoprire se anche per Zoe il nostro incontro di un mese fa sia stato qualcosa di più di una notte di sesso.

Deve esserlo.

Le sensazioni che mi ha fatto provare nel ritrovarmi dentro di lei, la fame che non sono più riuscito a saziare, tutto questo deve avere un dannato senso all’infuori della semplice casualità.

Altrimenti perché porta intorno al collo un anello regalato da un ragazzino di dieci anni qualunque?


*


Zoe

Il cellulare riempie la cucina con le note di Those Nights dei Bastille.

Non c’è nessuno in giro a quest’ora, la notte il solo momento libero in cui posso dedicarmi alla cucina senza preoccuparmi del giudizio di mia madre, né delle diverse opinioni dei nostri ospiti per i prossimi due giorni. Credevo che i Lambert se ne sarebbero andati dopo la cena, invece il progetto dei miei genitori era un po’ più ampio di quanto mi avessero descritto all’inizio.

Si fermeranno per il weekend, così io e Alexander avremo modo di conoscerci dopo l’unico incontro mai avuto.

Non ne avevo idea. Chi avrebbe mai potuto immaginare che quel ragazzino sconosciuto invitato alla mia festa sarebbe diventato l’avventura di una notte e il mio fidanzato? Già l’intera questione del matrimonio è un brutto scherzo a cui entrambi abbiamo accettato di prendere parte per lo status delle nostre famiglie, ma il resto…

Sistemo gli ingredienti sul bancone, ciotole e utensili il prossimo elemento sulla mia lista mentale che mi appunto di recuperare mentre la canzone prosegue e ricomincia da capo.


I can feel your eyes in the back of my head 

Sento i tuoi occhi sulla nuca


Burning, burning, burning

Che bruciano, bruciano, bruciano


Floating through the room as the hairs on my arms

Che scivolano nella stanza mentre i peli sulle mie braccia


Are rising, rising, rising

Si rizzano, rizzano, rizzano


È successo quella sera al club, una sensazione devastante che mi è strisciata sottopelle e della quale ancora non sono riuscita a liberarmi.

Poso la ciotola con più forza di quanto sia necessario, il rintocco del metallo contro il bancone che sovrasta la musica e mi fa bloccare sul posto. No, non è stato il colpo, quanto piuttosto la stessa certezza di essere osservata, gli occhi di qualcuno incollati alla nuca mentre mi sezionano e scavano dentro per cercare chissà cosa.

Non dovrebbe essere a letto?

Perché è qui?

Ignoro entrambe le domande e continuo a recuperare ciò che mi serve per cucinare, la voce e la musica dei Bastille a riempire un silenzio che neppure lui sembra voler rompere.


I’m chemically drawn closer to you

La chimica mi attrae verso di te


Eyes wide, eyes wide open 

Occhi aperti, occhi spalancati


Will you be my future, or just an escape?

Sarai il mio futuro, o soltanto un ripiego?


Love me, love me, love me 

Amami, amami, amami


You never get to heaven on a night like this 

Non tocchi mai il paradiso in una notte come questa


Immagino abbia ragione, non esiste la beatitudine dopo una notte come quella che abbiamo passato lui e io insieme, per quanto un mese fa potesse sembrare il contr…

«Si sbagliano» afferma, la voce alta quanto basta a farsi sentire sopra la musica. «Noi il paradiso lo abbiamo toccato, nonostante fossimo soli e cercassimo qualcuno con cui passare la notte.»

«Intende qualcosa di diverso, un appagamento più duraturo di quello che provi con le avventure di una notte.» Non mi volto a guardarlo, continuo a pesare e misurare gli ingredienti benché senta i suoi passi avvicinarsi. «Credevo di essere l’unica ancora sveglia.»

«Non riuscirei a prendere sonno nemmeno volendo, Zucchero» sussurra fermandosi accanto a me, le braccia serrate al petto e il fianco appoggiato al bancone. «O adesso posso chiamarti Zoe?»

«Solo Zoe» confermo, un fremito a percorrermi la pelle per essergli tanto vicina. «Zucchero non è nessuno. Non esiste.»

«Davvero?» Si china in avanti e blocco le braccia. È tanto vicino da sfiorarmi con la camicia, il tessuto incapace di tenere lontano il suo calore. «Perché io me la ricordo bene. Ogni parola, ogni sguardo e ogni gemito che sono riuscito a baciarle via dalle labbra. Dalle tue labbra, Zoe.»

«Cosa vuoi, Alexan…»

«Alec» mi interrompe. «Detesto chiunque usi il mio nome completo. Be’, chiunque tranne mia madre.»«Cosa vuoi?»

Tralascio il suo soprannome, troppo intimo, troppo vicino a un rapporto che non potremo avere più, non adesso che il mistero è svanito e la realtà ci ha travolti.

«Parlarti, visto che mi hai impedito di farlo ogni volta che ci ho provato.»

«Peccato, sono impegnata adesso. E non posso perdere tempo.»

«Per evitare che tua madre ti scopra mentre ti abbassi a cucinare? Quando lo ha detto a cena mi è sembrato curioso, ma adesso capisco.» Mi scruta e lo sento bruciarmi dentro, proprio come cantano di nuovo i Bastille. «Perché si ripete la stessa canzone?»

«Riprodurre lo stesso brano in loop mi mantiene concentrata.» Una spiegazione minima, non gli offro altro, e riprendo a mescolare gli ingredienti secchi. «Se non ti serve altro, dovrei…»

«Cucinare e parlare riesci a farlo, perciò mi sembra il momento adatto. Nessuno ci disturberà.»

Inspiro con forza. «Bene» cedo. «Vuoi parlare? Facciamolo, ma se resti mi aiuti.»

Gli occhi gli si illuminano. «Dimmi cosa vuoi che faccia, Zoe.»

Il suono roco che abbandona le sue labbra mi attraversa e scalda il ventre. Ho in testa immagini e richieste ben diverse da quello che dovremmo fare adesso. Richieste che prevedono i nostri corpi nudi come…

«Rimboccati le maniche, poi pulisci e taglia a pezzetti le fragole. Tutte quelle del bouquet. Le trovi nel frigo» Gli indico il lavello con il manico del cucchiaio. «Mani pulite, ovviamente.»

«Ovviamente» ripete e mi scocca un ghigno malizioso mentre arrotola la prima manica della camicia e si sposta verso il lavandino. «Cosa ne farai?»

«Una marmellata e un coulis.»

«Per una torta?»

La sua curiosità e l’attenzione mi stupiscono, ma non danno fastidio. Mi fanno sentire sotto esame, in modo piacevole, come se mi riuscisse a vedere al di là del vestito, delle buone maniere e degli obblighi che mi sono stati cuciti addosso. Non sono certa sia positivo.

«Sì.» Mi riscuoto e allontano gli occhi dai suoi avambracci definiti. «Ma la maggior parte della marmellata la porto via con me quando rientrerò nel mio a… a casa.»

Sento addosso di nuovo il suo sguardo. Sta ricordando anche lui il mio appartamento e quanto siamo stati bene quella notte? Io sì e il calore mi avvolge il collo e le spalle scoperte.

Lo sento schiarirsi la voce e tornare al mio fianco, le braccia cariche delle bacinelle in cui Mariah e la cuoca hanno sistemato tutti i frutti. Trova da solo il tagliere pulito e il coltello, il taglio preciso e metodico che ci fa lavorare uno accanto all’altra per diversi minuti, in un silenzio strano e pacifico, uno in cui la musica neanche la sento, tanto sono concentrata su di lui, su come lavora e come mi rilassi averlo accanto.

È un male? Non lo so più, in realtà, ma rappresenta un rischio di sicuro. Perché ho sempre dato per scontato che sarei stata indifferente al mio fidanzato. Invece con Alec sono tutt’altro che indifferente.

Alec.

Come suonerebbe se lo pronunciassi ad alta voce?

Meglio non scoprirlo.

«Di cosa volevi parlare?»

Forzo la domanda oltre le labbra e ignoro l’affanno che mi incrina la voce. Spero lo faccia anche lui.

«Di noi.» Non solleva la testa dal tagliere, prosegue anche se sta per mettere a soqquadro la vita che credevo avrei avuto con l’uomo scelto dai miei genitori. «E dell’anello che porti appeso al collo. Perché ce l’hai ancora?»


*


Alec

È solo una del milione di domande che voglio porle, eppure evito di guardarla. So che se lo facessi non combinerei nulla, mollerei il coltello e affonderei le dita nei suoi capelli. Se smetto di tagliare le fragole, niente sarà più in grado di tenermi lontano da Zoe e dal suo corpo. 

Non è ciò che serve adesso, non subito. Dopo forse, quando avremo entrambi capito cosa cazzo ne sarà delle nostre vite e come conciliare chi siamo con ciò che vogliono i nostri genitori, con ciò che siamo stati l’uno per l’altra quella notte.

«Non ho una risposta semplice.»

«Mi basta che sia sincera, Zoe.»

«Ok.»

La voce le esce roca, provata quanto me dalla vicinanza e dai ricordi, lo sento. Ed è un buon segno, così non sono il solo a navigare a vista, con un’unica certezza: voglio spogliarla di nuovo e perdermi dentro di lei.

«L’ho tenuto perché mi piaceva e perché ricordavo il ragazzino che me l’aveva regalato. Lui è stato l’unico a farmi sentire speciale quel giorno.» Con la coda dell’occhio vedo le sue mani fermarsi, ma non solleva ancora la testa. «Tu ci sei riuscito. Forse non ricordi nemmeno perché.»

Invece sì. «C’era una bambina che piangeva in biblioteca, non forte, quasi che non volesse farsi sentire da nessuno. Ma io l’ho fatto e ho pensato dovesse esserci qualcosa di grave per essere triste durante una festa. Ti avevano detto che saresti andata in un collegio femminile, giusto?»

«Già, mentre loro sarebbero partiti per l’Europa a tempo indeterminato.» Sbuffa e il suono stempera la tristezza nella sua voce. «Era vera la storia di tua nonna?»

«Al cento per cento.» Sollevo la testa e incontro i suoi occhi, li trattengo nella speranza che veda la serietà e mi creda ancora. «Mi aveva dato l’anello qualche giorno prima, dicendomi che con quello avrei dovuto rendere felice una persona speciale. Non credo intendesse una bambina triste qualunque, ma spero sia riuscito a farlo con te.»

Annuisce svelta e un calore anomalo mi invade il petto. Non è lussuria, né desiderio, quanto un appagamento di qualche tipo che fatico a catalogare.

«Allora sono contento di avertelo regalato.» Lo sguardo mi scivola verso il suo collo, sulla pelle scoperta e lungo la catenella che scompare nella scollatura, la stessa che mi ha fatto impazzire per tutto il pomeriggio. «A essere onesto, invidio dove si trova in questo istante.»

Zoe arrossisce e trattiene il respiro. Il petto le si solleva e muoio dalla voglia di assaggiarla di nuovo. Non ancora. È una maratona, non una corsa a ostacoli, e sono un tipo paziente quando si tratta di ottenere ciò che voglio.

«Come farai la torta?» Cambio argomento e sposto l’attenzione sui diversi ingredienti. «Fragole e cioccolato?»

«No, solo fragole.» Lascia andare l’attrezzo che ha in mano e agguanta un quadratino scuro. «Il cioccolato è per me. Una coccola per rendere le ore più piacevoli.»

Lo infila in bocca e non riesco a staccare lo sguardo dalle sue labbra per un solo secondo. I pensieri turbinano e mi bombardano con immagini precise di ciò che farei io per coccolarla, con o senza cioccolato, futuri carichi di peccato e orgasmi sempre diversi.

«Ne vuoi un pezzo?»

Solleva la barretta e me la offre, dal tutto ignara della deriva della mia mente e del mio corpo. O forse non lo è del tutto, perché le sue guance diventano scarlatte e le iridi si dilatano, illuminate da promesse cariche di desiderio.

«Sì.»

Però non abbandono il coltello per staccarne un pezzo. No, mi libero da tutto ciò che ho in mano per accorciare la distanza minima tra noi e assaggiare il cioccolato direttamente dalle sue labbra, la lingua a chiederle il permesso di lasciarmi entrare. Me lo concede, mentre la canzone ricomincia per l’ennesima volta.

È vero, ciò che c'è stato tra noi un mese fa è stata solo una notte di sesso, non è paragonabile a un futuro da costruire con qualcuno, una persona accanto alla quale svegliarsi ogni mattina. Tuttavia…

Non so se Zoe è la mia persona, o se io lo sono per lei, ma ciò che sento nel baciarla, nello stringere il suo corpo, deve avere un senso.


Will you be my future, or just an escape?

Sarai il mio futuro, o soltanto un ripiego?


Ho intenzione di scoprirlo e vedere dove ci porterà.

In fondo, anche stanotte nutriamo il desiderio di non restare soli.

Forse possiamo smettere di cercarlo altrove.


Federica

1 Comment


Susy
Susy
4 ore fa

E vabbe'! Cioè, io non so cos'altro dire con te, ogni volta tiri fuori dal cilindro chicche imperdibili. I racconti secondo me sono il tuo pane quotidiano perchè riesci a esprimerti tantissimo e lo dimostri ogni volta, qualsiasi genere affronti, qualsiasi tematica viene messa tu vinci a mani basse, sempre.

Bravissima! E lo penso davvero lo sai

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