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Immagine del redattorefedecaglioni

The Demon Hunter #1 [Storytelling Chronicles – Gennaio 2025]

Buongiorno!


Oggi torno a proporvi un nuovo racconto per la rubrica di scrittura della Storytelling Chronicles che, per quanto mi riguarda, quest'anno vedrà come protagonista sempre lo stesso personaggio ogni mese a partire da questo.

Per il 2025 infatti ho deciso di dedicarmi a una nuova tipologia di racconti della Storytelling Chronicles, una che prevederà la creazione ogni mese di una storia con lo stesso personaggio, in uno sviluppo verticale (ogni racconto fine a se stesso) e orizzontale della storia stessa (con una progressione del personaggio nel tempo), un po' come accade con gli episodi di una serie TV.


Giusto due info generali: ho scelto il genere fantasy e un protagonista con un lavoro particolare, come potete dedurre dal titolo, e insieme lo vedremo imbarcarsi in una nuova attività.


Ogni mese però ha i propri prompt da rispettare e per gennaio le linee guida da seguire erano queste:

1. Nel vostro scritto dovrà essere presente "un nuovo inizio", inteso come il principio di un'avventura, la partenza per un viaggio, il primo tassello della consapevolezza di sé o qualsiasi altra situazione che può rispondere alla richiesta 

2. Qualcuno deve lanciare qualcosa (esempi pratici: una palla, un improperio, ecc.) 

3. Qualcuno deve mangiare qualcosa (esempi pratici: un panino, la polvere, ecc.) 

4. Sulla scena è presente una sedia: usatela senza remore 

In più, per chi come me ha scelto una storia con lo stesso personaggio lungo l'anno, dovevo aggiungere altri due punti:

A. Presentate una delle principali caratteristiche del vostro main character attraverso un'azione (esempio pratico: è gentile? Che compia quindi un atto di gentilezza )

B. Il capitolo deve essere ambientato spazialmente in una sola location (esempi pratici: l'ufficio postale, la camera da letto, il bagno, un bar, una biblioteca, ecc.) 


Dopo questa lunga spiegazione posso finalmente farvi leggere il primo pezzo di questa nuova avventura!

Spero vi piaccia e che vi lasci la voglia di leggere altro!

(P. S. Per le parole sottolineate, vi basterà cliccarci sopra per scoprirne la pronuncia. Cliccate di nuovo sulla parola per tornare al punto del racconto in cui l'avete trovata)

«E così è come sono arrivato su Axanthia

Mentre gli altri tre giocatori ridono, osservo le carte traslucide tra le mie dita, i simboli sulla cima a indicare valore e tipo.

Un singolo, sette punti e una combinazione verde che a ret’akaj vale meno dello sterco di oopras. Su Altro Mondo direbbero che non vale un cazzo.

Che mano di merda.

«Rilancio di tre kupra

Il demone del sonno dal nome impronunciabile allunga gli artigli al centro del tavolo e lascia cadere le monete sopra il mucchietto al centro. Una puntata minima per il primo turno, ciò significa che anche lui ha fatto una pessima pescata.

Bene. Meno uno.

Il Dadia accanto a lui, un demone minore della fame con corna nere arricciate attorno alla testa, stiracchia il collo irsuto e curva la bocca carica di zanne in un ghigno degno del peggior incubo.

«Sette kupra» rantola, la voce gutturale a ricordare il brontolio dello stomaco affamato. «Sta a te, fersha

Fersha, un termine al limite dell’insulto. Una via di mezzo, un misto, qualcosa che non possono definire e che quindi vaga nel limbo di un niente atavico, che per i demoni è pure peggio dello sterco di oopras.

Fersha, appunto.

Faccio girare un kupra tra le dita, le altre monete sparpagliate sul mio angolo di tavolo a storcere un naso che non possiedono, già consapevoli della poco geniale idea che ho in testa.

Mio fratello Xalon direbbe che ho barattato il trat per un mucchio di grekum. Su Altro Mondo sarebbero più diretti, affermando un più pratico: «Ti sei fottuto il cervello». In fondo, i demoni sanno bene quale specie volgare e arretrata siano gli esseri umani.

La mia specie, dal punto di vista biologico.

Perciò, sì, mi sono fottuto il cervello e lo dimostro nel prendere nove kupra, ognuno dei quali fatto cadere al centro del tavolo con tutta la sicurezza e la strafottenza che i demoni qui presenti devono credere che possieda.

«Rilancio.» Chiudo le carte a faccia in giù sul tavolo. «La tua posta, più due.»

Una cifra assurda, soprattutto per la bisca e il locale dove sono finito stasera. Cosa non si fa per portare a termini il primo incarico di lavoro.

L’ultimo giocatore fischia sorpreso. È un energumeno dalla pelle scarlatta e dagli occhi viola, le corna tortili blu sistemate tra le lunghe ciocche dorate a identificarlo come un demone guerriero, uno di quelli che potrebbe avere più muscoli che cervello. Buon per me, soprattutto quando getta le sue carte sul tavolo, le figure scoperte a significare la resa.

«Tu sì che rischi, re’kabStraniero, nel diaetto locale del Debesh, la regione Nord che compone in pianeta di Axanthia e un insieme desertico che mi ha seccato la voglia di tornarci di nuovo. «Sei furbo o un idiota?»

«Nokta ce lo dirà.» La demone ancestrale, la signora del destino e delle scommesse. «Demoni?»

«Passo» gorgoglia il primo del giro, gli occhi accesi di fastidio nel lanciare le carte sul tavolo. «Tocca a te, Ravko.»

La lettera arranca tra le sue labbra, il suono fastidioso tanto da far crollare il sogghigno del Dalia, molto più di quanto non sia riuscito a fare io nel rilanciare.

Il demone della fame soppesa le sue carte, me, il tavolo e poi di nuovo ciò che stringe tra gli artigli. È un temporeggiare minimo, eppure sufficiente a concedermi uno spiraglio per comprendere tutto ciò che mi serve sul mio obiettivo. Lento, riflessivo, non incline a prendere rischi non necessari o, almeno, a riflettervi molto più di quanto di norma accade o sia auspicabile.

Diffidente.

Una caratteristica che non mi aspettavo, non da uno come lui.

Sarà il doppio del piacere riscuotere la sua taglia una volta portato a termine l’incarico. Chi a Yunia ha scommesso che non ci sarei riuscito riceverà una bella sorpresa, quando rientrerò nella capitale con la taglia quel demone.

«Makka, fersha

Il Dalia accetta la puntata. Bene, è ora della magia: un sorriso sghembo, le carte chiuse e il bordo picchiato contro il tavolo prima di disporle a faccia in su insieme al solo altro giocatore rimasto.

Lui ha un quartetto, trentasette punti e una combinazione rossa che, otto volte su dieci, ti permette di vincere a colpo sicuro. Ma a ret’akaj c’è una sequenza di carte imbattibili.

La cinquina, quaranta punti e la combinazione nera.

Proprio le stesse che io mostro al tavolo con un sorriso strafottente.

«Demoni, è stato un vero piacere giocare con voi.» Allungo le mani e circondo il gruzzolo di monete nel mezzo del silenzio generale. «Su, so che è una giocata fortunata, ma non c’è bisogno di tenere certi musi lunghi. Il ret’akaj dà e il ret’akaj toglie. La prossima volta sarete più fortunati.»

«Un attimo, fersha.» Uncini acuminati mi circondano il polso per impedirmi di riscuotere la vincita, il grugno del Dalia accartocciato in una espressione arcigna. «Come puoi aver ottenuto una ussa? Le carte…»

«Sono qui sul tavolo da poter guardare» lo anticipo. «O vuoi insinuare altro?»

«Calmo, re’kab. Ravko non ha fatto nulla di sbagliato.» L’energumeno le braccia al petto. «Conosciamo tutti il numero di carte presenti nel mazzo e una ussa sembra proprio davvero molto difficile da ottenere, non con le carte che abbiamo scartato anche io e Dodaris.»

«Difficile, ma non impossibile.» Mi scrolla di dosso il demone della fame e allontano una mano dalla vincita per avvicinarla alla gamba. «Qualcosa da contestare, demoni?»

Il tavolo si fa teso, agitato quanto lo sono le mie dita nello sfiorare il lungo pugnale Assero che porto legato lungo la coscia. I tre si osservano a vicenda e riportano lo sguardo su di me dopo neanche un singolo istante. È il guerriero dalla carnagione vermiglia a sollevare per primo le braccia in segno di resa e calma.

«Effettuiamo un controllo nel mazzo e basta. Sarai più sicuro anche tu in questo modo.»

«Io so di aver vinto. Non ho bisogno di fare una verifica.»

Allontano anche l’altra mano dai soldi mentre stringo le dita attorno al manico del coltello. Meglio dar loro una dimostrazione della mia buona volontà e insieme del non essere disposto a tollerare oltre le loro insinuazioni.

«Non rendere le cose difficili, fersha

Il Dalia rantola e gorgoglia, interessato solo alla possibilità di aver vinto. C’è altro in ballo, qualcosa di tanto importante che non posso mollare la presa adesso. Ne va della mia credibilità e del mio lavoro. Non posso fallire alla prima missione, verkas.

«E tu?» Interpello il demone del sonno con un cenno. «Anche tu sostieni che debba fare una verifica? Anche per te sono un jujan

Jujan, chi bara, spergiura e tradisce la sacralità delle regole, oltre che il suo onore. Una parola che non va usata alla leggera, non tra i demoni e il peso che danno alle loro parole, alla fiducia reciproca. Come specie abituata ad agire per tornaconto personale, essere definiti jujan sarebbe solo naturale, invece lo considerano un vero e proprio insulto.

«Nessuno ti ha mai definito così» corre ai ripari il demone guerriero. «Qui non ci sono jujan, e tutti abbiamo rispettato le regole.»

«Eppure insistete per controllare il mazzo, come se non avessi mai potuto fare una ussa

Infatti è così. Il mio obiettivo ha nascosto due delle carte necessarie per ottenerla, tuttavia non può smascherare il mio bluff senza prima svelare il suo. Non lo farà mai ed è ciò che mi auguro continui a fare finché non sarà il momento adatto a farlo uscire allo scoperto.

«La cifra non è indifferente» aggiunge quello di fronte a me, una risposta tardiva alla mia domanda di prima. «Non significa che tu sia un jujan, tuttavia una verifica non può fare m-mal…»

«Che succede qui?»

Un paio di braccia color caramello invadono lo spazio tra me e il Dalia. Due pugni chiusi sostengono una figura vestita di grigio perla, la divisa tipica della sicurezza del bar un avvertimento sufficiente a mettermi sull’attenti e ad abbandonare l’elsa del mio pugnale.

«Problemi?»

«I demoni qui presenti insistono per controllare il mazzo» spiego per primo. «Mettono in dubbio che possa aver vinto con una ussa

La guardia emette un fischio sonoro. «Combinazione importante. E difficile da ottenere. Le vostre carte sono tutte sul tavolo?»

Annuisco seguito a ruota dagli altri.

«Mm.» Un braccio si leva, l’indice a smuovere i mazzetti abbandonati dal demone guerriero e da quello del sonno. «Facciamo due conti. Abbiamo una ussa e una trexi, più due che hanno rinunciato, un bas» indica le carte del demone del sonno per poi passare alle altre, «e un pler. Centosei punti totali sul tavolo, su centottanta disponibili per una partita a ret’akaj. Una mano curiosa, ma non impossibile.»

«La stessa cosa che ho detto i…»

«Una controllata al mazzo, tuttavia, non mi sembra un gran problema» mi interrompe la guardia e mi vien voglia di imprecare.

«Posso farlo subito.»

Il demone del sonno posa rapido il palmo al centro del tavolo, il mazzo stretto sotto la sua presa fin troppo entusiasta. Dannati bastardi, ognuno di loro.

«Faccio io.»

Le parole lapidarie della guardia lo portano ad allontanare la mano in fretta, le carte scompigliate dal gesto repentino. Nessuno fiata più, gli occhi di tutti sui movimenti del tizio ambrato quando recupera il mazzo e prende a sfogliarlo dal fondo, mentre io controllo loro tre e inizio a mettere insieme una strategia. La fregatura mi si sta ritorcendo contro.

Contraggo appena le dita, quanto basta a sentire la realtà raggrinzirsi e scricchiolare attorno ai polpastrelli, lo sguardo fisso sulla vincita in mezzo al tavolo. La guardia conta e io fisso ogni kupra con crescente intensità, il respiro regolare a sovrastare ogni suono del bar, ogni brusio e mormorio di sottofondo.

Avverto l’istante in cui il mio bluff viene scoperto con un senso di strisciante disagio lungo la nuca, un presentimento che si realizza quando la mano della guardia esita nel gettare sul tavolo l’ennesima carta, la penultima.

«Demoni, mezz’altro, abbiamo un…»

Non lo lascio terminare. Un mio cenno e la realtà si contrae attorno alle dita mentre scatto in piedi con una mossa repentina. Nello stesso istante in cui una voragine fa sparire le monete dal tavolo, afferro lo schienale della mia sedia con entrambe le mani. Ne spingo una gamba con lo stivale per darle slancio e sollevarla.

«Cosa kevras…» inveisce la guardia, una protesta interrotta con uno sbuffo inferocito nell’istante in cui gli arpiono il petto con la sedia e spingo.

Perde l’equilibrio e arretra, il corpo possente inclinato di lato quanto basta a farlo volare a terra in un coro di imprecazioni e maledizioni lanciate un po’ all’indirizzo di tutti.

«Demoni» inizio una volta fatta cadere a terra la sedia, «permettetemi di present…»

«Jujan!» esclama il Dalia inorridito. «Sporco e maledetto jujan

«No, sono…»

Uno spostamento d’aria mi interrompe, la testa ruotata giusto in tempo per vedere il pugno del demone guerriero abbattersi contro la mia mascella. Un tonk sordo mi risuona nel cervello, la vista scombinata per un secondo di troppo. Vacillo, il bar un insieme di luci confuse mentre i piedi faticano a reggermi e portano le spalle a inclinarsi, proprio come la guardia un secondo fa.

Kevras.

Ha un martello, non un pugno, attaccato al polso.

Mi riscuoto in fretta, la testa scossa per dissipare la confusione nonostante l’energumeno vermiglio incomba già su di me. È grande, tre o quattro piedi più alto di me, e un ammasso di muscoli ben sviluppati che sembrano pronti a demolirmi senza pensarci troppo.

«Ragazzone non…»

Mi carica di nuovo e sono obbligato a evitarlo, il corpo ruotato a destra per schivare il pugno in arrivo e aggirarlo in scioltezza. Gli arrivo alle spalle, un movimento fluido che apre uno spiraglio non indifferente nella sua guardia e mi permette di rifilare una serie di colpi al fianco.

Gli fanno il solletico, certo, ma distribuisco una rete di magia sul suo addome. Quando il guerriero grugnisce e si volta, pronto a rispondere, gli rivolgo un mezzo ghigno e faccio saettare indice e medio verso la parete.

Il corpo vola per il bar, la figura schianta contro la parete degli alcolici e la devasta nell’arco di un respiro. Il fragore e la pioggia di vetri e liquidi di ogni genere accende l’attenzione della stanza su di me.

Kevras.

«Demoni…» inizio, gli occhi puntati sul barista nonché proprietario, e sulla mano che corre a cercare l’arma nascosta sotto il bancone. «Ho una autorizzazione…»

«A demolire il mio locale?» mi interrompe lui. «Non credo proprio, fersha

Estrae una scaccia demoni semiautomatica, la canna lunga quanto il mio avambraccio e larga oltre l’immaginabile. Kevras, di nuovo.

Alzo le braccia e sorrido, l’attenzione che scivola alla mia sinistra quando scorgo un lampo grigio e caramello con la coda dell’occhio. La guardia arriva al mio fianco, le braccia serrate al petto e il fastidio evidente, simile a una corrente che gli scorre addosso e si irradia dal suo corpo. Letteralmente.

Ecco perché non è mai un bene infastidire i demoni galb, con le loro emozioni impossibili da contenere e che possono usare come arma.

«Cosa vuoi che faccia, capo?»

Ho un niente sulla punta della lingua, ma il latrato del proprietario mi sovrasta.

«Perquisiscilo e cerca i kupra. La vincita basterà a ripagare i danni. Poi sbattilo fuori.»

«Se posso…»

«Taci» mi intima la guardia nel mettersi davanti a me. «Hai già causato abbastanza danni, non ti pare?»

«Rischi del mestiere» bofonchio nell’allargare le braccia e permettergli di svolgere il suo lavoro. «Tasca interna, a destra.»

«Lo so» gongola, il divertimento che riesce a filtrare nonostante il fastidio che ancora lo pervade. «Pronto?»

Annuisco mentre fruga nella mia giacca, le dita rapide nel raggiungere lo scomparto interno e nell’aprirne la cerniera. La lamina nascosta lì dentro quasi gli scivola fra le dita appena la libera, una placca scura e lucida incisa con decine di simboli e numeri identificativi.

«Capo, abbiamo un problema» sentenzia la guardia nell’alzare la mano in cui stringe, tra indice e medio, il badge di identità. «È un k’jeo autorizzato. Viene da Yunia ed è sulle tracce di un certo demone del son…»

Non riesce a terminare la frase. Lo schianto secco di una sedia sbattuta a terra lo interrompe e porta gli occhi di tutto il bar a spostarsi verso il tavolo dove ha giocato a carte. Soltanto per vedere la schiena del demone del sonno correre a perdifiato verso l’uscita.

Kevras, non esiste. Non gli permetterò di scappare ora e se uscirà dal bar, la caccia degli ultimi mesi sarà stata del tutto inutile. Devo prenderlo prima che accada.

Ruoto su me stesso con un’imprecazione sulle labbra e scatto in avanti, costretto a superare con mezzi salti e scivolate ogni demone o pezzo di arredamento che si frappone tra me e il mio obiettivo. Lui ha strada libero adesso che ha imboccato un corridoio di demoni, tutti pronti a fargli largo per permettergli di scappare più in fretta.

In loro favore c’è da dire che non mi ostacolano, non in modo diretto. Sanno bene che potrei portare anche loro davanti a un mirraj per essersi messi in mezzo. Spostano sedie e fanno cadere bicchieri, ma non è sufficiente per infastidirmi, o per accusarli di qualcosa.

Fortuna che non sanno ciò di cui sono realmente capace.

Qualcosa che adesso è giunto il momento di dimostrare.

«Non osare uscire» grido e in risposta il demone del sonno accelera il passo. «D’accordo, lo hai voluto tu.»

Smetto di inseguirlo, i piedi ben saldi a terra e gli occhi puntati sulla schiena ormai quasi arrivata alla porta. Così, che si goda il prezioso senso di libertà prima della fine inevitabile.

Sollevo la mano destra, le dita piegate come se volessi afferrare qualcosa e stringerlo. Il demone avanza, meno di tre passi alla porta, ed è allora che faccio scattare il braccio in indietro e poi avanti.

Una corda traslucida copre la distanza tra noi, il cui colore rosso acceso brilla sotta la luce del locale e saetta nella spazio rapida quanto la mia richiesta di afferrarlo. Una cappio gli avvolge le gambe tozze, stringe a sufficienza da farlo inciampare e fargli battere il grugno contro il battente della porta.

Finalmente, kevras.

«Per l’autorità concessami dal mirraj di Yunia» inizio a elencare a voce alta la formula di rito mentre lo tiro verso di me, con lui che si agita e lamenta, «prendo in custodia il demone del…»

«No, no, ti prego, k’jeo. Risparmiami.»

«… il demone del sonno Dodaris Asdani affinché venga scortato davanti al mirraj più vicino e lì giudicato per i crimini commessi. Le accuse sono…»

«False» mi interrompe e affonda le unghie sul pavimento, come se sperasse di opporsi e non tornare indietro. In risposta lo strattono con più forza. «Mi hanno incastrato, k’jeo, mi hanno mentito.»

«Ti hanno colto sul fatto, demone, e ci sono prove in abbondanza» riprendo, in un bar ora silenzioso, tutti attenti a osservare il nostro scambio. «Sei accusato di aver attraversato un portale verso Altro Mondo e di aver aggredito i presenti dall’altro lato, senza distinzione tra chi ti aveva concesso il passaggio e i testimoni ignari. Per le Leggi Assolute di Axanthia, sei stato ritenuto colpevole di trapasso illegale e aggressione ingiustificata. In seguito, la fuga al momento della presa in custodia ha dato via libera alla caccia dei k’jeo, caccia che io sono stato autorizzato a eseguire, come ho già detto.»

Concludo, con un ultimo strattone alla corda. Me lo ritrovo davanti ai piedi, le unghie ancora conficcate nel legno sotto di sé. Se le è spezzate e maciullate lungo tutta la strada fino a me, il sangue nero a dipingerla sul pavimento tra noi e la porta.

«Io, K’jeo Za…»

«So chi sei!» erompe una voce alla mia destra. «E non sei un k’jeo

Mi volto appena a osservare il demone, un essere basso e tracagnotto la cui pelle ricorda una buccia d’arancia mezza marcia.

«Starei attento, se fossi in te» lo avverto.

«Io? Tu, piuttosto. Hai un sanja, vi ho visti meno di sette mesi fa nel Debesh, durante la cattura di un demone della guerra. Sei al seguito di… di… di Sanja Sersa» un ghigno di soddisfazione lo attraversa nel pronunciarlo, «e mi ricordo di te, il fersha per metà di Altro Mondo, l’unico in grado di usare la loro magia su Axanthia.»

«Sì, sono io» una conferma che porta il bar intero a crepitare di tensione, «ma sono del tutto un essere di Altro Mondo, non solo per metà. E quella è stata la mia ultima caccia con un sanja. Ho ottenuto la nomina subito dopo e il nostro Asdani è il fortunato demone della mia prima caccia in solitaria.»

Un colpo di tosse alle mie spalle mi fa scattare all’insù gli angoli della bocca.

«Quasi in solitaria» mi correggo. «Mio fratello, K’jeo Xalon, ha contribuito a una parte della caccia.»

Basta il suo nome per far fare ai demoni presenti un passo indietro, gli occhi di tutti a saettare per il bar allo scopo di individuarlo. Essere figlio di una delle k’jeo più forti di Axanthia è sufficiente a incutere timore.

Un lampo grigio e caramello mi affianca, il fastidio mescolato alla soddisfazione un mix interessante da sentir crepitare accanto a me.

«Devi per forza essere tanto teatrale?»

Sogghigno e faccio un rapido occhiolino a mio fratello. «Non sono io quello che si è infiltrato come guardia per oltre tre settimane nell’unico bar di Konwe

Xalon leva e fa roteare gli occhi, poi si lascia andare a un sospiro e mi restituisce il tesserino identificativo, il cui angolo destro presenta un spia intermittente verde acceso. Ottimo, lo ha già attivato.

«Avanti, Zain, finisci la formula.»

Riporto lo sguardo sul demone del sonno. «Io, K’jeo Zain, per il potere concessomi dal mirraj di Yunia, dichiaro chiusa la caccia a Dodaris Asdani.»

Un bip prolungato viene emesso dalla placca in metallo tra le mie mani, segno che le parole sono state registrate e inviate al sistema. Ora resta solo la formalità di consegnarlo e posso dire di aver trasformato la mia prima caccia in un successo.

«Bene.» Un cenno della mano e la corda avvolge il demone per immobilizzarlo del tutto. «Adesso ti portiamo a…»

«Zain» mi richiama mio fratello e nel trovarlo seduto allo stesso tavolo dove ho giocato io strappa a me un sospiro. «Non ancora.»

«Quand’è che l’avresti ordinato?» Punto il dito sul piatto che gli campeggia davanti e su quello che ha tutta l’aria di essere uno stufato di oopras. «Perché non credo che il barista laggiù voglia vederci qui più del necessario.»

Xalon si volta a guardare il demone in questione, le labbra viene piegate in un ghigno sicuro di sé. «Se ti paghiamo i danni, l’ordine e lasciamo una grossa mancia, posso restare a mangiare?»

Il proprietario agita la scaccia demoni nella mia direzione. «La vincita della partita può bastare per farvi restare e finire il piatto. Non di più.»

Adesso è me che guarda Xalon, un luccichio malizioso ad attraversargli gli occhi scuri mentre affonda le posate nello stufato e se ne caccia un boccone immenso oltre le labbra.

Picchietto con la punta dello stivale contro il fianco del demone del sonno. «Immagino dovremo restare qui ancora per un po’.»

«Per fav… Humf.»

Pongo fine alla sua supplica con bavaglio cremisi, il colore che brilla con più intensità quando cerca di farsi sentire lo stesso.

«È inutile, perciò taci e fai un favore a tutti.»

Lo trascino con me nel tornare verso il tavolo, il corpo del demone legato a una delle gambe mentre recupero la sedia che ha usato durante la partita di ret’akaj. Mi ci accomodo, una gamba piegata sul ginocchio dell’altra e la mano affondata nei capelli finché le dita non sforano le protuberanze dure delle corna.

Vengo da Altro Mondo e possiedo solo sangue umano, tuttavia passare gli ultimi centosessantotto anni su Axanthia ha lasciato il segno. In tanti mi hanno chiamato fersha, a ragione, ma da oggi dovranno definirmi in un altro modo.

Da oggi sono K’jeo Zain.

Da oggi sono un cacciatore di demoni.

Axanthia = Pronuncia Asantia

Ret’akaj = Pronuncia retaca

Kupra = Pronuncia cuprà

Dadia = Pronunciato come scritto

Fersha = Pronuncia ferscia

Oopras = Pronuncia upra

Xalon = Pronuncia Salon

Trat = Pronuncia tra

Grekum = Pronuncia grecu

Re’kab = Pronuncia recab

Debesh = Pronuncia debes

Yunia = Pronuncia iunia

Makka = Pronuncia maccà

Ussa = Pronunciato come scritto

Verkas = Pronuncia vercas

Jujan = Pronuncia uan

Trexi = Pronuncia trecsi

Bas = Pronunciato come scritto

Pler = Pronuncia plè

Galb = Pronunciato come scritto

K’jeo = Pronuncia cheo

Mirraj = Pronuncia mirrà

Sanja = Pronuncia sana

Konwe = Pronuncia conue

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